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IL CAFFÈ
E LA GUERRA
DEI MEDICI

di ALBERTO GRANDI

 

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La scienza medica in Occidente rimase ancorata per quasi 2.000 anni alle teorie di Ippocrate e ai successivi aggiornamenti di Galeno. Alla base di tutto c’era la famosa teoria umorale secondo la quale il nostro corpo sarebbe governato da quattro umori: sangue, bile gialla, bile nera, flegma. Essi condurrebbero alla salute (eucrasia) nel caso in cui siano in equilibrio, alla malattia (discrasia) nel caso opposto. Anche se a noi oggi tutto questo potrebbe far sorridere, di fatto l’approccio ippocratico rappresenta il più antico tentativo di fornire una spiegazione eziologica dell'insorgenza delle malattie, superando la concezione superstiziosa, magica o religiosa.



Si trattava di una teoria sostanzialmente sbagliata e costantemente smentita dalle esperienze che i medici stessi e i cerusici facevano sul campo, ma che ha continuato a dominare il pensiero e la dottrina. È difficile spiegare i motivi di una così lunga supremazia da parte di un paradigma teorico completamente errato; probabilmente si tratta di uno dei più affascinanti problemi della storia culturale dell’Europa. Eppure, alcuni modelli alternativi vennero proposti nel corso del XVI e XVII secolo. Tra la fine del XVII e l’inizio del XIX secolo la medicina visse un lungo periodo di transizione, durante la quale le vecchie e le nuove idee di fatto convissero.

Il caso ha voluto che questa fase di transizione abbia coinciso con la diffusione del consumo di caffè in Europa; e di conseguenza tutti i medici finirono per occuparsi della questione, indipendentemente dal fatto che fossero legati alle vecchie dottrine o che fossero portatori di idee nuove. Dopo un primo momento di disorientamento, nel quale non sapevano come classificare la nuova bevanda proveniente dall’oriente, si scatenò una rissa mondiale tra coloro che ritenevano il caffè una specie di panacea per ogni male e coloro che, al contrario, lo consideravano più pericoloso del cianuro.

Iniziò il Dottor Buntekuh, medico tedesco al servizio del re di Prussia Federico Guglielmo, che nel 1679 pubblicò un trattato sul caffè, collegandolo alle allora recentissime scoperte di Harvey sul funzionamento della circolazione sanguigna; in pratica Buntekuh aveva capito tutto e con lui avrebbe dovuto aprirsi e contemporaneamente chiudersi il dibattito medico, dal momento che aveva compreso come il caffè, ma anche il tè, fosse in grado di accelerare la circolazione del sangue e quindi di rendere più attivi, contrastando la stanchezza e il sonno. Purtroppo, le buone idee fanno spesso fatica ad affermarsi e quasi sempre trovano più oppositori che sostenitori. Infatti, pochi mesi dopo, due medici francesi, Castillon e Fouqué, si presero la briga di affittare la sala civica di Marsiglia per scatenare una crociata contro il caffè, che a loro dire era solo una malsana novità straniera. Il fatto che un medico europeo dicesse che poteva avere effetti benefici sulla salute umana, era solo perché si basava su non provate testimonianze arabe disseminate ad arte per aprire nuovi mercati. Il riferimento al povero Buntekuh era del tutto voluto.



I due medici francesi basavano le loro affermazioni sulla traballante teoria umorale: “Le particelle abbrustolite di caffè possiedono un’energia così violenta che, quando entrano nel sangue, attraggono la linfa e disseccano i reni. Inoltre, sono pericolose per il cervello, in quanto disseccano il fluido cerebro-spinale”. Ma nella Francia del ‘600 la reputazione dei medici in generale era tutt’altro che buona, come dimostrano i testi teatrali del periodo e quindi la campagna anti-caffè ebbe scarsa considerazione tra i consumatori. Cionondimeno, quasi tutta la classe medica d’oltralpe era schierata contro il consumo di caffè, senza rinunciare a quelle che oggi chiameremmo “fake news”: si diffusero storie spaventose di avvelenamenti da caffè, si arrivò a dire che il ministro delle finanze Colbert era morto per colpa dell’eccessivo consumo di questa bevanda, stessa sorte sarebbe toccata alla principessa di Hanau-Birkenfeld.

Come detto, però, questa campagna mediatica ebbe poco successo e quindi gli sforzi della classe medica per contrastare la moda del caffè si concentrarono sulle isole britanniche, dove il consumo era ancora limitato. Il primo a parlarne fu il medico scozzese Daniel Duncan, che nel 1703 pubblicò un breve trattato sulle conseguenze del consumo di caffè, tè e cioccolata. Il suo punto di vista, in realtà, più che medico sembrerebbe morale, dal momento che il giudizio negativo è legato all’atteggiamento vizioso e indolente indotto da queste bevande. Ma in Inghilterra la moda del tè, come quella del caffè e della cioccolata sul continente, stava prendendo rapidamente piede e quindi l’ingenuo Duncan finì per fare la stessa brutta figura dei suoi colleghi francesi.



Di fronte a questo evidente contrasto tra la scienza medica e la passione popolare, ma soprattutto di fronte all’esperienza quotidiana che dimostrava come il caffè non avesse tutti quegli effetti collaterali che i medici gli attribuivano, la soluzione non fu quella di ritirarsi in buon ordine e smettere di parlarne, al contrario fu quella di alzare ancor di più il livello dello scontro e dell’allarme. Il medico svizzero Auguste-Andrè Tissot arrivò a sostenere che il caffè avesse “corrotto l’intera Europa”. Gli faceva eco il tedesco Samuel Hahneamnn, fondatore della medicina omeopatica, il quale riteneva che il caffè alterasse l’equilibrio corporeo, che non si capisce bene cosa voglia dire, ma che di certo non era un giudizio positivo. Mentre l’inglese John Cole, ancora nel 1833, riteneva che il caffè fosse la bevanda più pericolosa del mondo per la salute umana. Dopo Cole, che scriveva su “The Lancet”, la più prestigiosa rivista medica del mondo, i dottori europei di fatto si misero il cuore in pace e nelle aule delle facoltà di medicina prevalse finalmente il buon senso. Ci vollero “solo” 160 anni, ma alla fine venne data ragione al primo che aveva parlato: il povero e dimenticato Buntekuh.






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