Anche i sodalizi più forti tra autore e protagonista ad un certo punto vengono a noia. Diventano ingombranti. Come per certi rapporti di lavoro, di amicizia o un matrimonio. “Sto pensando di ucciderlo, mi impedisce di pensare a cose migliori” confessò alla madre sir Arthur Conan Doyle, scrittore scozzese della fine del diciannovesimo secolo, geniale creatore del genere giallo deduttivo. Il padre letterario di Sherlock Holmes all’inizio dell’ultimo decennio dell’Ottocento avvertì sempre di più, dopo più una sessantina di romanzi e racconti, il peso del personaggio da lui inventato, di quel raffinato investigatore assecondato nelle sue sagaci deduzioni dall’amico dottor John Watson, e aiutato a volte anche da un cane segugio.
Ma come eliminare Holmes?, si deve essere chiesto lo scrittore. L’uscita di scena non poteva che essere sorprendente come le soluzioni dei delitti per nulla “elementari” che Conan Doyle offriva ai suoi lettori appassionati. A cui arrivava secondo la regola che “una volta eliminato l’impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile, deve essere la verità”.
Ma ecco, durante un viaggio in Svizzera, la scoperta del paese di Meiringen, un pugno di case, qualche albergo tra cui l’Hotel du Sauvage, Englischer Hof nel racconto dell’uscita di scena, che ospitò lo scrittore con la moglie Louise. Pochi edifici, pochi abitanti. Ai giorni nostri sono meno di cinquemila, ma la vicina cascata del Reichenbach scorre ancora impetuosa. Ecco il luogo ideale, apparso predestinato allo scrittore con il suo strapiombo di 120 metri, in cui far precipitare l’investigatore mentre lotta con il suo nemico di sempre, il professor James Moriarty, soprannominato il “Napoleone del crimine”. Poche apparizioni le sue ma significative negli scritti. Era il 4 maggio del 1891 quando sembrò risolto “Il problema finale”, dato alle stampe nel 1893, in una raccolta di racconti.
Una data che però non segnò la scomparsa definitiva dell’investigatore che a furor di appassionati il suo inventore fu costretto a far tornare con un escamotage. Il corpo non era stato trovato e quindi… Ma la fine del rapporto era ormai segnata e fu definitiva dopo pochi altri racconti. Quello che non poteva prevedere Conan Doyle è che facendo morire Holmes in quel paesino del cantone di Berna nell’Oberland svizzero, vicino a Interlaken, ne avrebbe deciso un futuro di meta turistica per gli appassionati giallisti che vanno ancora in pellegrinaggio sul luogo dello scontro tra Holmes e il suo nemico. Ma anche per gli sciatori e gli amanti della montagna in genere. Salgono su con la cremagliera, poi percorrono un sentiero mozzafiato per almeno trenta minuti per raggiungere l’origine della cascata che è sovrastata da un ponte, sconsigliato a chi soffre di vertigini. Qui ci fu la caduta fatale dei due nemici avvinghiati.
Meiringen sul personaggio dell’investigatore inglese, esordio editoriale nel 1887, ci ha costruito una fortuna. Gli appassionati di gialli, i turisti, ma anche, vedrete perché, gli sciatori e i golosi l’hanno eletta a meta prediletta. Qui tutto parla di Sherlock e del suo inventore. Statue dei protagonisti sulla piazza intitolata a Conan Doyle; l’albergo del soggiorno dei coniugi scozzesi, con molti altri, c’è ancora. E poi il museo ricavato nel seminterrato dell’antica chiesa inglese del villaggio, dove si ammirano cimeli autentici dell’autore e la ricostruzione perfetta - il caminetto, la lente d’ingrandimento, il servizio da the, il bastone da passeggio, gli appunti, le gazzette - del salotto vittoriano di Baker Street 221b, la casa che l’investigatore condivideva nella capitale inglese con l’amico Watson, voce narrante dei romanzi. Ovunque souvenir per tutti i gusti: il cappello, la pipa, i libri. Nei negozi sul corso ci sono cioccolate al whisky e salamini, formaggi, altre prelibatezze, molte col marchio Sherlock Holmes. Una garanzia.
Ma pochi sanno che lo scrittore scozzese ha contribuito a rendere popolare lo sci in questa parte di Europa sul finire dell’Ottocento. Fu proprio Conan Doyle, costretto a ritornare in Svizzera, non solo a Meiringen ma anche a Davos, per cercare di curare la moglie, malata di tubercolosi, anche con l’aria buona della montagna, a diffondere qui l’uso degli sci, una attrezzatura fino ad allora poco conosciuta. I primi li fece arrivare dalla Norvegia. Prime difficoltà nell’affrontare piste ancora artigianali, capitomboli, e poi sempre meglio fino a superare passi anche impegnativi assieme a due svizzeri che, racconta lo scrittore, lo accompagnavano sotto gli occhi curiosi di tanti improvvisati imitatori che non si lasciarono sfuggire l’occasione di mettersi alla prova su quei due pezzi sottili di legno. E sci fu. Adesso gli impianti di risalita sono ovunque. Una serie di cabinovie collegano il paese del museo, dominato da tre vette alte poco più, poco meno quattromila metri, al comprensorio sciistico di Reuti-Magisalap. Molte piste d’estate diventano percorsi per il trekking.
E non finisce qui. Alla fine del Seicento un pasticciere ticinese, forse italiano, tal Casparini, si inventò un dolce leggero a base di zucchero e albumi d’uovo, le meringhe che presero il nome del paese. Ce ne sono di tutte le dimensioni, piccole e anche molto grandi che richiamano il bianco dei ghiacciai che circondano la valle e profumano di vaniglia, caffè ma anche cioccolato. La meringa non disdegna liquori come il Kirsch e il Baileys. E panna in gran quantità. Montagne di panna. Nel 1985 qui fu sfornata la meringa più grande della storia, lunga due metri e mezzo, larga un metro e mezzo e alta settanta centimetri. Èsalda nel Guinnes dei primati.