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LA MILANO DI...
MONI OVADIA





di Massimo Cecconi

Qual è oggi il suo rapporto con Milano?

È un rapporto di esilio dentro quella che è stata la mia città e che io non sento più come tale. Riconosco che Milano è una città molto efficiente e da questo punto di vista direi ben governata, ma purtroppo ha perso il suo carattere da lungo, lungo tempo. Quel carattere autentico e popolare che ho avuto il privilegio di vivere e che oggi non esiste più. Un tempo che è finito con la “milanodabere”, quando cioè la città ha imboccato la scelta mercantile e mercantilista e quella del glamour un po’ straccione. Non amo gli happy hour, non amo le apericene. Milano ha perso il suo popolo, quel popolo straordinario che aveva, per questo mi sento straniero anche se ho una casa molto bella dove vivo volentieri.

Moni Ovadia.

Perché vivere oggi a Milano?

Dipende da quello che si fa; sicuramente ha senso per un uomo d’affari, un uomo che vive la dinamicità economica. Ci sono molte ragioni di business e pratiche; Milano è collegata strategicamente ed ha rapporti col mondo. Non trovo invece ragioni di sentimento perché purtroppo non è più una città solidale e a misura d’uomo.

Margini di miglioramento…

Sempre ci sono margini di miglioramento, soprattutto se si progetta la città secondo criteri di qualità per i suoi cittadini e per i suoi ospiti. Se invece ci si concentra esclusivamente sulle prospettive affaristiche, è chiaro che la città avrà aree di eccellenza ma grandi disomogeneità. Le città oggi hanno uno spasmodico bisogno di verde perché fa parte della lotta contro l’inquinamento ambientale. Bisogna avere il coraggio di programmare la città con una viabilità sostenibile con vaste aree pedonali, incrementando il car sharing e i mezzi pubblici e i piccoli automezzi collettivi.

Un luogo, uno solo, che rende Milano speciale?

Per me è via Savona. È una strada che racchiude la storia della città, della Milano proletaria, civile, operaia. Il paesaggio urbano che si gode da qui è bellissimo. Una volta c’erano grandi fabbriche: l’Ansaldo e la Riva Calzoni. È lì che ho imparato il dialetto milanese.

Piazza Giulio Cesare

Spazio agli affetti: un ricordo personale che la lega a questa città?

Piazza Giulio Cesare e la vecchia Fiera. Con i miei genitori, abitavamo lì e dividevamo la casa con mio zio Salomone. Sono luoghi della mia infanzia dove ho trascorso ore serene. Milano allora mi sembrava piccola, intima e rassicurante. La fontana della piazza era piena di pesci rossi e nelle sere d’estate vedevo spesso le lucciole. Le auto erano poche e c’era ancora silenzio. Con i miei compagni giocavamo ai tollini, cioè una specie di corsa ad ostacoli usando i tappi della spuma invece delle biglie. Disegnavamo col gesso di vari colori le piste sulla strada, come si vede nei film, una città lontana che non esiste più.

Un piatto della cucina milanese assolutamente da assaggiare?

Amo molto il risotto alla milanese però in versione vegetariana, perché sono vegetariano ormai da molti anni. Per me è buonissimo anche senza midollo e ossobuco.

Sfatiamo una leggenda? Milàn l’è un gran Milàn?

Dal punto di vista economico commerciale sì, dal punto di vista umano no.

In una parola sola: Milano è…?

Quella che non esiste più, quella dal cuore grande.





Moni Ovadia
Nato a Plovdiv in Bulgaria nel 1946, da una famiglia ebraico-sefardita, alla fine degli anni '40 si trasferisce a Milano con la famiglia. Formatosi come cantante di musica popolare sotto la guida di Roberto Leydi col gruppo Ensemble Havadià, nel 1984 si dedica al teatro avviando una serie di collaborazioni con numerose personalità della scena tra cui Pier’Alli, Bolek Polivka, Tadeusz Kantor, Giorgio Marini, Franco Parenti. È questa per Moni Ovadia l’occasione di fondere le proprie esperienze di attore e di musicista, dando vita alla proposta di un “teatro musicale” lungo il quale ancora oggi opera la sua ricerca espressiva. Nel 1993 con Oylem Goylem, una creazione di teatro musicale in forma di cabaret, Ovadia si impone all’attenzione del grande pubblico e della critica giornalistica. A questo spettacolo ne seguiranno molti altri quali Dybbuk, Ballata di fine millennio, Il caso Kafka, Mame,mamele,mamma,mamà… Il Banchiere errante, L’Armata a cavallo, Le storie del Sig.Keuner, Il Violinista sul tetto, la Bella utopia, solo per citarne alcuni, fino ai più recenti “Le Supplici” di Eschilo, “Liolà” di Luigi Pirandello e “Dio ride, nish koshe”. Per il cinema ha lavorato con Nanni Moretti, Mario Monicelli, Roberto Andò, Roberto Faenza e altri. .



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