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LE VIRTÙ
TERAMANE
IL CIBO
DEL 1° MAGGIO

di GABRIELLA DI LELLIO




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La festa dei lavoratori, il primo maggio, negli anni passati era una giornata molto partecipata. Non era ancora tempo di concertone romano a piazza San Giovanni e gli abruzzesi, dopo la manifestazione, partivano per Teramo per mangiare le Virtù. Si tratta di un piatto tradizionale molto gustoso con una storia antica, diventato nel tempo la pietanza tipica del primo maggio per i teramani e poi per tutti gli abruzzesi.


Un tempo si usava festeggiare la Festa del Majo con la “pignatta di maggio”, una minestra fatta con sette legumi e le primizie dell’orto, distribuita ai poveri e gettata nei campi a scopo propiziatorio; una pratica legata al culto della terra, in occasione del Calendimaggio delle civiltà contadine.


Il cibo, più di qualsiasi altra cosa, è lo specchio di un territorio e delle persone che lo abitano. A noi italiani non piace distaccarci dalle tradizioni, soprattutto quelle legate alla cucina, anche se spesso ci spingiamo verso nuove esperienze di tendenza. La cucina tradizionale, però, richiede un certo impegno e per questo è difficile ritrovare l’autenticità di una ricetta, anche se ben eseguita.


L’origine delle cosiddette Virtù, nella provincia di Teramo, risale al 1800. Il 30 aprile era considerato lo spartiacque tra la fine dell’inverno e l’arrivo della primavera e infatti le massaie abruzzesi svuotavano “l’arca del pane” - la madia con i rimasugli delle provviste - utilizzando gli avanzi e la pasta che durante l’inverno si era spezzata. Così le donne 'virtuose' pensarono bene di consumare tutto in una volta, combinando ciò che era rimasto con le primizie fresche di primavera e legando con brodo di osso di maiale.


La genesi di questo piatto, in realtà, è molto più antica. Si pensa addirittura all’antica Grecia, dove si preparavano enormi quantità di una pietanza fatta di semenze, la Panspermia, come offerta votiva agli dei, in particolare a Demetra, la dea delle messi. Le più grandi carestie della storia legate al mondo agricolo, infatti, avvenivano proprio nel mese di maggio, quando terminavano le risorse accantonate per superare l'inverno.


Per chi non le ha mai assaggiate, vale la pena visitare Teramo e conoscere le Virtù, pietanza per la quale un gruppo di esperti e di ristoratori teramani ha realizzato un Disciplinare riconosciuto anche dal Ministero dell’Ambiente e delle Politiche Forestali, per preservare la ricetta. Esistono virtù rivisitate in tanti modi e anche virtù di pesce, ma la ricetta autentica è una sola e non si cambia. Le più autentiche sono quelle che si preparano a Teramo e non nella provincia, dove sono state modificate e adattate alle usanze dei vari luoghi. Oggi è un piatto interessante da un punto di vista enogastronomico, ma in realtà per i teramani Virtù vuol dire fame nera.





La leggenda narra che il piatto si chiamò così perché doveva essere preparato da sette vergini, utilizzando sette legumi, sette aromi, sette carni, sette verdure di stagione, sette tipi di pasta, cucinato tutto in sette ore; sette perché sono sette, appunto, le virtù cristiane.


Nella realtà gli ingredienti sono tantissimi e ogni famiglia custodisce e tramanda gelosamente la propria versione, togliendo o aggiungendo secondo i gusti. Si presenta come una minestra dai toni verdi ma guai a chiamarla minestrone, perché rappresenta il lavoro dei contadini, la parsimonia nell’utilizzo di materie semplici, la pazienza nella sua preparazione e la convivialità nel gustarla e distribuirla ad amici e conoscenti (le virtù si preparano per tante persone e quasi mai per una sola famiglia). Chi le fa le offre agli amici che si presentano a casa con un pentolino vuoto da riempire e portar via.


Si inizia giorni prima a cuocere le verdure (sbollentate e tritate grossolanamente) e i legumi; gli ingredienti sono tanti e vanno preparati tutti separatamente. Ci sono fagioli di diverse qualità, ceci e lenticchie, cicerchie, piselli e fave. A seguire zucchine, carote, patate, carciofi, bietole, indivia, scarola, lattuga, verza, cavolfiore, cicoria, spinaci, finocchi e rape.


Si comincia soffriggendo in abbondante olio extravergine pezzetti di lardo di maiale con un trito di aromi, erbe e ortaggi: cipolla, maggiorana, salvia, timo, sedano, prezzemolo, aneto, noce moscata, chiodi di garofano, pepe o peperoncino, pipirella (l’afrodisiaca santoreggia), menta selvatica, borragine, finocchietto selvatico e basilico con aggiunta di aglio. A parte si puliscono accuratamente le cotenne, il piede, l’orecchio di maiale ed il prosciutto, si toglie il midollo dall’osso e si spella la lonza. Si tengono in ammollo per 12 ore e poi si fanno bollire buttando la prima acqua (il brodo deve bollire almeno quattro o cinque ore e va sgrassato). Tutti gli ingredienti vanno tagliati in piccolissimi pezzi e il brodo colato va aggiunto piano piano ai legumi durante la cottura.


A questo si aggiungono pallottine di carne macinata di manzo - fritte precedentemente - e poi lardo, pancetta e guanciale. Alla fine, a parte, si cuoce la pasta di grano duro, corta e di varie forme con la pasta di acqua e farina fatta in casa (i maltagliati) o all’uovo, in acqua bollente e ciascuna con i suoi tempi di cottura, da aggiungere alla zuppa di verdure e legumi. Il tutto condito con olio, sale, polpa di pomodoro e pecorino.


La preparazione è veramente lunga e laboriosa e il momento più complesso è l’unione di tutto, alla stessa temperatura. Le virtù sono un piatto unico, non c’è bisogno di accompagnarle ad un secondo o ad un contorno. È una zuppa magica, il racconto di un mondo che era regolato da un tempo diverso.L'abbinamento con il vino può spaziare da un bianco ad un classico locale come il Montepulciano d'Abruzzo, re delle tavole in Abruzzo.





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