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L' ARTE DELLA FAMIGLIA BULLA

VIA DEL VANTAGGIO, 2


di ANNA DI LELLIO

Fotografie di Anna Di Lellio

9 mar 2021

via del vantaggio

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Quando è morto Ferlinghetti ho comunicato la notizia, subito, a Flaminia Bulla, perché solo qualche giorno prima avevamo parlato del poeta proprio nella Litografia Bulla, a via del Vantaggio 2, anche con suo padre Romolo.


Ingresso al Laboratorio Bulla

I Bulla avevano conosciuto bene Ferlinghetti nel 1994, quando era venuto a Roma per partecipare al progetto "Dogana", e realizzare il Numero 0 della rivista dell'Associazione Dogana. Creato e stampato in questi locali, il librone che Romolo mi mostra, sfogliandolo con una delicatezza religiosa che ne accresce il fascino, contiene litografie originali, poesie e fotografie inedite di George Baselitz, Domenico Bianchi, Giuseppe Conte, Lucio Dalla, Jan Dibbets, Jim Dine, Lawrence Ferlinghetti, Dennis Hopper, Mario Martone, Mimmo Paladino, Ferdinando Scianna, Sean Scully, Ettore Sottsass ed Adriano Trovato.

Flaminia Bulla al tempo del Covid
Beatrice Bulla

Snobbando tutti gli altri grandissimi artisti, mi soffermo sulle pagine di Ferlinghetti e la sua poesia “Dawn in Rome,” “There is a sweetness in the air…” Ricordo il mio incontro con lui a San Francisco proprio nel 1994. È singolare come la mia memoria, come quella di Romolo, sia rimasta fissata sull’umanità che il poeta rivelò a noi, che lo adoravamo. A San Francisco, mi aveva colpito la sua definizione della felicità per gli italiani: una giornata di sole, un bicchiere di vino bianco freddo, e un bar dove sedere a guardare la gente che passa. A via del Vantaggio Lorenzo, come lo chiama Romolo, aveva tanto apprezzato la sua ospitalità che si era messo a fare una siesta sul divano dopo il lauto pranzo, dimenticando che c’erano interviste e incontri importanti da fare. Insomma, si era sentito come a casa.

Del resto, per i Bulla le celebrità non esistono. I nomi che noi comuni mortali pronunciamo con reverenza erano e sono di casa a via del Vantaggio. Sarà che la litografia è nello stesso palazzo dove abitano dal 1840, oppure che questo indirizzo è noto ad artisti famosi in Italia e nel mondo. Non è noto al quartiere però, perché non c’è alcuna insegna che identifichi la litografia. Da novembre c’è, se non un’insegna, almeno un segnale pubblico di attività.

Manifesti all'ingresso
La vetrina

Flaminia e Beatrice, le figlie di Romolo, hanno da poco convertito in spazio espositivo le due stanze che collegano l’entrata al laboratorio e hanno aperto una finestra sulla strada, nella quale espongono sia dei lavori che fanno parte del loro archivio che quelli di giovani artisti.

“Loro non sono come noi, Rosalba e me,” dice Romolo parlando anche di sua sorella, “noi siamo sempre stati un po’ carbonari.” Potrebbe essere ironico, data la sua fama, ma c’è un motivo che spiega questo voler restare nascosti alla vista del pubblico. La privacy è una necessità per il loro lavoro, che richiede concentrazione, precisione ed arte. Qui gli artisti vengono a fare disegni su pietra, ma a rovescio. Non è da tutti. E il pubblico sarebbe una distrazione. Riesco a entrare nella litografia perché sono raccomandata, non da una celebrità, ma da mio cognato Paolo, un amante dell’arte e amico di Romolo dagli anni Settanta, da quando Romolo accettò un incarico di insegnamento all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila. “Era il 1976, arrivai che non funzionava neanche il torchio, era smontato.” Di quell’esperienza Romolo ha bei ricordi, ovviamente dopo aver fatto rimontare il torchio. “Lavoravamo con gli studenti tutta la notte. Avevamo una stufetta per scaldarci ma ci cucinavamo anche delle salsicce, abbrustolivamo il pane, un bicchiere di vino e si lavorava fino alle 3.

Rosalba Bulla
Romolo e Beatrice

“Fui assunto per chiara fama,” dice come se fosse uno scherzo. C’è poco da scherzare, nel suo caso “chiara fama” significa non solo il riconoscimento di un lavoro di più di mezzo secolo, ma anche l’appartenenza ad una famiglia reale della litografia e della stampa. Leggere la storia dei Bulla significa percorrere un grande albero genealogico che comincia all’inizio del diciannovesimo secolo. Era ancora vivo Napoleone!

Beatrice e Flaminia sono le figlie di Romolo, e l’ultima generazione che gradualmente sta prendendo le redini dell’attività di famiglia. Sono giovani, ma non così giovani come Romolo e la zia Rosalba quando loro cominciarono ad apprendere l’arte dal padre, dapprima solo “pulendo I pavimenti e guardando gli artisti al lavoro.” Ci vuole tempo per imparare, questa non è una tecnica che si ricava da un libro.

Pietra e macchina
Stella del torchio

Romolo insiste che i manuali sulla litografia sono tutti intenzionalmente sbagliati, o comunque contengono omissioni, insomma, non danno mai la ricetta giusta. Perché un maestro che controlla la tecnica non la condivide facilmente. Suo padre, che s’inventò di scrivere su pietra con la penna a biro, si rifiutò di insegnarlo ad un famoso stampatore di Zurigo che glielo aveva chiesto.

Flaminia pensa che essendo donne lei e Beatrice non furono mai obbligate a fare le apprendiste in laboratorio, come invece si usava al tempo con i figli maschi. È successo così che invece di imparare solo guardando e praticando hanno studiato, viaggiato, e da Londra sono poi riapprodate a via del Vantaggio 2 nel 2016. Lavorando per preparare una grande mostra su duecento anni di stamperia alla Calcografia Nazionale nel 2018, si sono innamorate del lavoro, e sono rimaste. Ora hanno la licenza per poter continuare nel solco dei Bulla - editori, stampatori, artisti della xilografia e della litografia.

I macchinari nel gran laboratorio senza finestre ma con magnifici lucernai fanno immaginare una pratica antica anche a chi come me non ne sa nulla. C’è una macchina con qualcosa che sembra un timone, mi dicono che invece si chiama stella del torchio. È davvero antica, ha un marchio che lo conferma: 1889.

Le macchine furono portate a Roma da Parigi pezzo per pezzo. Starebbero bene in un museo, ma sono usate giornalmente. Non sembra esserci differenza tra passato e presente in queste magnifiche stanze, dove in un angolo sono accatastate in bell’ordine pietre pesantissime che appartengono ai padri e ai nonni. Sono tutte incise, di una grande bellezza anche così allineate sugli scaffali. Le pietre vengono dalle cave di Solnhofen vicino a Monaco, usate per le litografie perché assorbono sostanze liquide e grasse allo stesso modo.

Archivio pietre Bulla
Pomiciatoio

Adesso si disegna con matite grasse, prima si incideva, ma Romolo ricorda di aver usato da tempo matite e crayon. Le pietre sono levigatissime, appositamente preparate proprio qui in laboratorio. Flaminia dice che vuole mostrarmi il “pomiciatoio,” e ovviamente mi viene da ridere ma solo per poco, perché il cortiletto dove vengono preparate le pietre è un altro bellissimo angolo nascosto dove qualcosa di magico avviene ogni giorno.

Flaminia e Beatrice sono il futuro. Romolo le guarda un po' stupito quando nota che sono riuscite a lavorare sul plexiglass, un materiale che lui stesso aveva detto sarebbe stato impossibile da utilizzare. Loro ci sono riuscite. Scherzano, dicono di averlo fatto anche per dimostrare al padre che avevano ragione. In realtà sono state spinte e ispirate dagli amici e colleghi artisti della scena romana contemporanea, come Gugliemo Maggini, che assieme a Delfina Scarpa ha inaugurato presso la stessa Litografia Bulla la mostra “Qualquadra non cosa” a novembre 2020. Sono giovani che hanno vissuto e vivono tra New York, Berlino, Parigi e Roma, che si sono appropriati di spazi magari periferici, dove lavorano non esattamente insieme, ma in conversazione l’uno con l’altro, e dove espongono le loro opere. Si dovrebbe fare una mappatura di questi spazi, da Spaziomensa, In Situ, Spazio Y, Castro a chissà quanti altri. Che non si parli di scuola romana però!

Guglielmo Maggini e Romolo Bulla
Enzo Cucchi, CPS 1998
da "I Bulla", a cura di F. Apella

Anche Romolo e Rosalba, all’inizio della carriera, hanno lavorato con i giovani della loro generazione. Approfittavano del sabato e della domenica, quando il padre andava a caccia, per lavorare con gli artisti coetanei. Quelli che più assiduamente hanno lavorato e lavorano con loro sono spesso anche amici.

I lavori di Enzo Cucchi, un vecchio amico, hanno inaugurato la nuova vetrina prima di far posto ai giovani. Ma i nomi sono infiniti, da Salvatori a Bianchi, Dessì, Ceccobelli, Pizzi Cannella, Nunzio, Cerone, Paladino, Canevari, Kounellis, Carl Andre, Ana Mendieta, Anselmo, Merz, Tàpies, Masson, Accardi, Fontana, Schifano, Rotella, Salle.

Jim Dine, Cuore Blue 2000
da "I Bulla",a cura di F. Apella)
Tagliatrice

Jim Dine veniva apposta a Roma a lavorare con loro. Un po’ svecchiavano il loro giro un po’ acquistavano quello del padre Roberto, e qui serve una pausa perché descrivere la famiglia Bulla è come raccontare una storia biblica. Il Romolo seduto davanti a me è figlio di Roberto, che fu figlio di Romolo, nato lo stesso giorno e mese del nipote. E la storia non finisce qui perché prima del vecchio Romolo c’era suo padre Anselmo, nato nel 1821 da Giuseppe Bulla di Muggio, vicino a Como ma nel Canton Ticino, e della stessa famiglia, anche se di un altro ramo, di Francesco Bulla, arrivato a Parigi nel 1814 da Cabbio, pure vicino a Como, e stampatore famoso.

Qui si capisce come Flaminia e Beatrice, due donne, complichino la genealogia anche se già parzialmente compromessa dalla zia Rosalba che lavora in stamperia dal 1969! Anselmo aprì la sua stamperia litografica a Roma nel 1840, in un’epoca in cui questa tecnica era d’avanguardia rispetto alle vecchie tecniche incisorie. È Anselmo che si installò a via del Vantaggio, dopo aver avuto successo lavorando anche con grandi commissioni del Vaticano e le istituzioni cittadine.

Ritratto di Romolo Bulla
Logo Bulla

Ma veniamo a Romolo, suo figlio, che guarda tutti dall’alto del suo ritratto nella stanza d’ingresso del laboratorio, con i bei baffoni ottocenteschi. Fu lui a creare il logo dei Bulla, ricercato da tutta Italia per la cura delle sue litografie, e la sua attività editoriale.

A voler conoscere tutto ciò che è riuscito a creare bisogna leggere la bella monografia a cura di Giuseppe Appella, I Bulla. Editori-Stampatori d’Arte tra XIX e XXI Secolo (Edizioni De Luca 2001) pubblicata in occasione di una mostra all’Accademia di San Luca. Anche Romolo ebbe commissioni importanti, stampò le partecipazioni delle nozze di Edda Mussolini e Galeazzo Ciano, tanto per citare celebrità ancora riconoscibili, e poi le piante guida di Roma e Napoli, calendari, etichette, locandine importanti.

Pianta Guida della Città di Napoli, 1886
da "I Bulla". a cura di Francesco Apella
Manifesto Gaumont, 1909

Studiò e produsse cartelloni pubblicitari, attirato dall’Art Nouveau. Il manifesto del 1909 per la Gaumont, oggi appeso vicino al suo ritratto, ne è testimone.

Come siano riusciti i Bulla a sopravvivere ai cambiamenti tecnologici si spiega solo con la loro maestria sia tecnica che intellettuale. Negli anni cinquanta e sessanta la litografia di Roberto era un tutt’uno con l’osteria dei Fratelli Menghi a via Flaminia, a 300 metri da piazza del Popolo, chiamata anche Osteria dei Pittori, e con Cesaretto (Fiaschetteria Beltrame) a via della Croce, dove artisti, scrittori e gente del cinema passavano ore a mangiare, bere ma anche scambiare idee. E a via del Vantaggio si ritrovavano Maccari, Perilli, Dorazio, Manzù, De Chirico e Scialoja, perché i Bulla erano i loro litografi preferiti.

I macchinari nel gran laboratorio senza finestre ma con magnifici lucernai fanno immaginare una pratica antica anche a chi come me non ne sa nulla. C’è una macchina con qualcosa che sembra un timone, mi dicono che invece si chiama stella del torchio. È davvero antica, ha un marchio che lo conferma: 1889.

Le macchine furono portate a Roma da Parigi pezzo per pezzo. Starebbero bene in un museo, ma sono usate giornalmente. Non sembra esserci differenza tra passato e presente in queste magnifiche stanze, dove in un angolo sono accatastate in bell’ordine pietre pesantissime che appartengono ai padri e ai nonni. Sono tutte incise, di una grande bellezza anche così allineate sugli scaffali. Le pietre vengono dalle cave di Solnhofen vicino a Monaco, usate per le litografie perché assorbono sostanze liquide e grasse allo stesso modo.

Laboratorio
Cesare

Nel 1963 da via del Vantaggio uscì La Litografia, edita dalla galleria La Salita di Gian Tomaso Liverani, una pubblicazione di pitture eseguite con la tecnica della litografia. Chi vuole può leggere l’introduzione a questo volume di Carlo Tullio Argan, che spiega la versatilità e i significati della tecnica. Il punto è che i Bulla hanno sempre lavorato con artisti, usando un mezzo espressivo che non è fermo nel tempo, ma colloquia con materiali diversi senza tradirne l’identità. Si capisce come qui tecnica ed arte siano indistinguibili. Romolo dice che ogni artista è diverso e lavora in modo diverso. Ne devi conoscere molti per poter aiutare ciascuno ad ottenere il risultato voluto. E devi avere pazienza, perché gli artisti fanno molte prove. Paladino, per esempio, una volta disse a Romolo che ogni volta che prova a fare una litografia cerca di superarla. Mi rendo conto che vorrei passare ore in questo mondo dei Bulla dove idee, immagini, forme, colori e progetti sono la materia di cui sono fatte le giornate. Ma mi accorgo che mentre parliamo tutti hanno ricominciato a fare qualcosa, tagliare su misura delle cartelle, delle litografie, o sono xilografie? E vedo che Rosalba è concentrata sul suo lavoro e ormai indifferente a chi le è attorno, mentre il vecchio cane Cesare dormicchia su una coperta proprio sotto una macchina che azzardo a identificare come una macchina per xilografie.

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