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7 dicembre, 2020

ROBERTO BENIGNI, L'ALBERTO SORDI DEL 2000

di Antonio Silva

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Amilcare Rambaldi, padre fondatore del Club Tenco di Sanremo, aveva un amico alla Rai di Roma: Giancarlo Governi. Uno che, tra le altre importanti cose, ha realizzato per Rai 2 le trasmissioni Gulp! e Supergulp!, portando i fumetti in televisione. Idea geniale che, nel decennio 1971-1981, ha fatto conoscere e apprezzare i fumetti anche a chi non ne aveva mai sentito parlare.


Mentre Amilcare sta preparando l’edizione 1976 della Rassegna della Canzone d’autore, Governi lo chiama e gli dice paro paro: ti porto l’Alberto Sordi del 2000.


Non è che sbroffasse (dal verbo milanese “sbroffà”: innaffiare ma anche millantare), perché lui, il Governi, il Sordi lo conosceva bene. Gli aveva costruito intorno un programma (Alberto Sordi, storia di un italiano) e poi ci ha scritto un libro (Alberto Sordi. Un italiano come noi. Biografia, testi, filmografia, Milano, Milano libri, 1979).


Benigni nel 1975 è sostanzialmente uno sconosciuto. Lo conoscevano a Roma dove, al Teatro Alberico, recitava un testo scritto per lui da Giuseppe Bertolucci: il monologo “Cioni Mario fu Gaspare di Giulia”.


Amilcare compera – a zero lire, ovviamente. Perché al Tenco danee non ce n’è - a scatola chiusa. Così nel 1976, terza edizione della Rassegna, Benigni arriva sul palco dell’Ariston. Annata straordinaria: basti dire che quell’anno debuttarono al Tenco, oltre a Roberto Benigni, Paolo Conte, Gianna Nannini e Piero Ciampi.


Mica paglia, lasciatemelo dire.


Roberto Benigni nel 1976
foto da Wikipedia)


Da subito fu un crescendo inarrestabile. Già in quella sua prima comparsa, dopo aver dichiarato con finta timidezza (bastardo) di trovarsi lì perché voleva intraprendere la carriera di cantautore, attaccò con l’ “Inno del corpo sciolto”. Che non è esattamente l’inno dei baronetti della Corona, e che poi confluì nel disco “Quanto t’ho amato” del 2002. Se vi va di conoscere il testo dell’inno per intero, lo trovate in Internet.


Poi tornò nel ’77, ’79, ’81, ’86. Ogni volta una botta di risate e un botto di fuochi d’artificio.


Come nell’ ’81 quando dichiarò di essere stato fulminato dalla bellezza della moglie di Paolo Conte, la bellissima Egle, e di essersene repentinamente innamorato “come se Bettino Craxi un dì a Montecatini si innamorasse della moglie di Spadolini”. Alla quale dedicò la canzone, composta il pomeriggio stesso - a suo dire -, “Mi piace la moglie di Paolo Conte”. Paolo Conte, arrivato due giorni dopo e messo al corrente dell’accaduto, dedicò il suo brano “Dal loggione” alla zia di Benigni della quale confessò di essere “da anni invaghito”. Tutto il teatrino – Benigni che canta e Paolo Conte che dedica – è immortalato su Youtube.


Nell’ ’86, di ritorno dagli U.S.A. dove è stato uno degli interpreti del film Daunbailò di Jim Jarmusch – assieme Tom Waits e John Lurie - ci porta in Rassegna il suo amico Tom Waits.


Sempre in quell’anno lì, c’è al Tenco anche Paolo Conte. Che ha in scaletta il suo pezzo “Sudamerica”. Nelle quinte, ad ascoltare l’esibizione di Conte, ci sono Francesco De Gregori e Ivano Fossati. Mi becca un fulmine: anche De Gregori e Fossati hanno in repertorio il pezzo. D’accordo con Vincenzo Mollica – giusto per condividere la responsabilità della bravata – spingo letteralmente in scena i due a cantare il pezzo con Paolo Conte. Benigni, non invitato, entra in scena anche lui e, non sapendo che fare, ruba le maracas al percussionista e si esibisce con quelle. Una delle due gli scappa dalle mani e finisce sulla testa di uno spettatore. Vedere le facce che fa Paolo Conte.


Dello straordinario quartetto (Benigni, Conte, De Gregori, Fossati) ogni tanto fanno passare qualche immagine sulla Rai.


Siamo negli anni 80, gli anni del craxismo triumphans.


Una sera, a sorpresa, Benigni decide di dedicare una sua composizione ad Amilcare Rambaldi.


Il testo faceva così:











Questa qui in Rai non l’hanno mai fatta passare.



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