A partire dal suo vasto archivio visivo, Galleria Campari presenta "Red carpet: il cinema dei sogni. Campari e l’immaginario del divismo, 1900-1960", una mostra che approfondisce il fenomeno del divismo nel cinema in relazione al linguaggio della pubblicità e alle strategie di comunicazione dell’epoca, come sottolinea la Direttrice della Galleria Campari, Anita Todesco. L’esposizione occupa il nuovo Museo inaugurato nel 2010 per i 150 anni dalla fondazione Campari (da quando Gaspare Campari inventò l’aperitivo rosso, il Bitter Campari appunto), a un anno dall’apertura dello spazio Campari ristrutturato dall’architetto Mario Botta tra il 2005 e il 2009, con l’allestimento della collezione permanente in quella che era la sede produttiva.
 
						Obiettivo dell’esposizione: costruire un palcoscenico immaginario di sessanta anni di storia tra cinema, arte, moda e costume, con un focus tra il 1910 e il 1960, pur sforando qua e là per accogliere suggestioni diverse. L’idea è di puntare l’obiettivo sull’iconosfera delle suggestioni colte dalla Campari, sempre molto attenta al piano della comunicazione, con un ampio ricorso ad artisti e illustratori come Fortunato Depero, Ugo Mochi, Marcello Dudovich, Bruna Matelda Moretti (Brunetta), Giorgio Muggiani, Franz Marangolo e registi noti - tra cui Federico Fellini, Singh Tarsem, Paolo Sorrentino, Stefano Sollima e Matteo Garrone - e allo stesso tempo evidenziare l’influenza che l’azienda ha contribuito a creare nello stile.
Da Sesto a Milano
se ne va il Marchio rosso
Il risultato è una sorta di caleidoscopio (l'allestimento è stato ideato e realizzato da Studio FM Milano e Corrado Anselmi architetto) che fa entrare il visitatore in una lanterna magica. Il punto di partenza è stato l’Archivio storico di Galleria Campari, curato da Bianca Munari, che custodisce una varietà notevole di materiali visivi, oltre a documenti, manifesti, rotocalchi, grafica, ripercorrendo in particolare i primi passi nell’industria cinematografica del brand, negli Anni Dieci del Novecento, quando la settima arte è ancora muta e in bianco e nero, fino agli Anni Sessanta e oltre, quando il fenomeno del divismo subisce una trasformazione in conseguenza delle nuove forme di comunicazione.
 
						Il cuore espositivo è appunto la relazione di Campari con il mondo del cinema e in particolare il divismo. L'origine della 'diva' avviene nel mondo della lirica, sarà con Hollywood che diventerà parte integrante dell’arte stessa, funzionale al mercato e all’industria, con il fenomeno dei testimonial fino agli influencer odierni. Un connubio che per Campari è sempre stato forte e che l’azienda ha percepito centrale in una società in trasformazione: basta ricordare lo spot del Crodino, l’ "aperitivo biondo" che presenta Brigitte Bardot creando una regia che non è solo il racconto di un prodotto ma di uno stile di vita. Altro tema essenziale quello delle copertine, delle riviste e dei rotocalchi di moda.
Oltre alle opere provenienti dall’Archivio storico, la mostra ospita prestiti dal Museo Nazionale del Cinema di Torino, da Magnum Photos - con una selezione dell’iconica serie ‘Jump' di Philippe Halsman e del lavoro di Eve Arnold, Burt Glinn e David ‘Chim’ Seymour, - dal Centro Studi e Archivio della Comunicazione Università degli Studi di Parma, dalla Collezione Bortone Bertagnolli, dalla Collezione Dario Cimorelli, da Vogue, Condé Nast e dal Ministero della Cultura, Pinacoteca di Brera e Biblioteca Nazionale Braidense di Milano.
 
						Il percorso comincia con le Silhouettes di Ugo Mochi, che ricordano gli archetipi del cinema, con le ombre; quindi il Manifesto di Marcello Dudovich del 1910, Il bacio; per poi lasciare spazio alle copertine delle riviste e delle dive, in particolare Il volto di Greta Garbo, titolo di una sezione, e figure note come Charlot. Ci sono anche i rotocalchi che testimoniano il lato pop dell’immaginario collettivo, come La settimana Incom e gli scambi con l’arte. A questo proposito un artista come Fortunato Depero, futurista, importante collaboratore della Campari, è messo a confronto con se stesso. La mostra evidenzia alcuni denominatori comuni tra la sua produzione artistica e le sue campagne per la Campari. Il fenomeno del Diva Film si afferma in Italia con interpreti quali Pina Menichelli, Francesca Bertini, Lyda Borelli che contendono alle grandi cantanti liriche l’appellativo che fino a quel momento caratterizzava la sola scena operistica. La promozione della “Diva” richiede servizi fotografici, abiti di moda, cartoline autografate, pose e posture che riecheggiano o rielaborano le iconografie diffuse dalla grafia pubblicitaria o dalle copertine delle riviste.
 
						Nella sezione successiva, Figure del desiderio, irrompe lo star system hollywoodiano, che dalla metà degli anni Dieci del Novecento fino alla fine degli anni Venti è capace di produrre e diffondere icone che interpretano e modellano aspirazioni e stili di vita. Dentro e fuori dallo schermo, le star vivono di tratti che provengono da un lato dai personaggi interpretati, dall’altro dalle loro biografie – reali o costruite ad arte – veicolati da ritratti, cronache, cinegiornali. Moda, pubblicità e cinema trovano crescenti occasioni e forme di scambio, contribuendo a diffondere immagini seducenti a cui aspirare o in cui identificarsi.
Procedendo si entra nella sezione Oltre lo schermo, che mette in luce le istanze rivoluzionarie degli Anni Sessanta; quindi le icone che dialogano con l’azienda come Brigitte Bardot e infine il momento in cui viene smontato il Divismo. È il caso della già citata serie Jump!, con cui si conclude la mostra, circa 200 scatti del fotografo Philippe Halsman per Magnum che ritrae attori e personaggi famosi – da Marilyn Monroe a Grace Kelly, Dean Martin, Sophia Loren, Anthony Perkins, Audrey Hepburn, Brigitte Bardot e Jerry Lewis - mentre saltano, rendendoli più vicini alla cultura popolare perché “Con un salto, la maschera cade. La persona reale si rende visibile”.
 
						Il Museo Aziendale Campari, nella palazzina in stile Liberty del primo stabilimento Campari, inaugurato da Davide Campari nel 1904, oggi integrata nell’architettura contemporanea del nuovo complesso, esplora il legame tra Campari, Campari Soda e l’arte della comunicazione visiva dal 1860 ai giorni nostri; con oltre 5.500 opere su carta, tra cui affiche originali della Belle Époque, manifesti e grafiche pubblicitarie firmate da artisti come Dudovich, Cappiello, Depero, Crepax, Munari, Tofano e Ugo Nespolo. Si ricostruisce così la storia di un marchio, anche attraverso i caroselli e gli spot, i libri d’artista che reinterpretano il marchio in chiave creativa e oggetti firmati da designer sia affermati, sia emergenti come Matteo Agati, Markus Benesch, Agustina Bottoni, Serena Confalonieri, Ingo Maurer, Marco Oggian, Matteo Ragni, Matteo Thun. Oltre alle opere pubblicitarie, Galleria Campari ospita una selezione di materiali storici che raccontano il mondo Campari attraverso oggetti diventati parte della memoria collettiva: bicchieri iconici, strumenti per la miscelazione, packaging storici, orologi e specchi.
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