DA ARISTA
A LASAGNA
L'ATLANTE
GASTRONOMICO

di ILARIA GUIDANTONI

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È stato presentato in una manifestazione organizzata dall’Aset, l'Associazione Stampa Enogastroalimentare Toscana (a Firenze, all’hotel Bernini Palace) il progetto di una vera e propria enciclopedia-atlante della cultura e del lessico gastronomici italiani. Il progetto - che spazia dal medioevo all'Unità d'Italia - è finanziato dal Ministero dell’Istruzione e della Ricerca e fa capo all’Università di Siena per Stranieri, coadiuvata dall’Università di Cagliari, la Federico II di Napoli e Salerno. Ha richiesto già oltre tre anni di lavoro.

Si tratta del lungo viaggio attraverso la storia di un linguaggio settoriale, quello legato alla tavola, che in Italia è una delle espressioni forti di identità e cultura. Allo stesso tempo, le parole della gastronomia sono diventate tra le più internazionali. Basti l'esempio del caffè: la parola deriva dal turco e a sua volta dall’arabo; furono infatti gli arabi per primi a renderlo una bevanda e i Veneziani per primi in Europa. Il vocabolo fa la sua comparsa in una ricetta di biscotti nel 1748, anche se la documentazione del caffè come pianta risale al 1585 e come bevanda già nelle Lettere di Francesco Redi del 1666. Ora è uno degli italianismi internazionali, fra i termini più diffusi al mondo, insieme ai nomi delle bevande a base di caffè tipiche della prima colazione italiana, così come “espresso”, caffellatte, cappuccino. Fortuna analoga ha conosciuto il Tiramisù, in origine “tirame su” poi “tirai su”, quindi un’unica parola con l’accento, tra le 10 ricette d’Italia più conosciute.


(Alcuini testi)


Il lavoro di ricerca, coordinato dalla professoressa Giovanna Frosini, responsabile dell’unità di ricerca dell’Università per Stranieri di Siena, ha richiesto un notevole impegno, considerata la biodiversità gastronomica nazionale con 55 testi scritti censiti, 18mila ricette e 400 parole. Il metodo di lavoro scientifico mutuato dalla tradizione filologica e linguistica è stato incrociato con le tecniche delle digital humanities. I risultati sono riuniti in un unico portale – www.atliteg.org – e comprendono una banca dati, un corpus di testi (ad oggi 50) dal Medioevo alla fine dell’Ottocento, tra i più rappresentativi della cucina italiana; un Vocabolario storico della lingua italiana della gastronomia in forma digitale, che ricostruisce l'evoluzione di 400 parole della lingua del cibo (il lavoro è in fieri); un Atlante geo-testuale e non geolinguistico che proietta su una rappresentazione cartografica della penisola italiana i dati relativi all’attestazione, alla diffusione e alla circolazione delle parole del cibo nella varie forme linguistiche (lo ha illustrato la professoressa Monica Alba, una delle tre ricercatrici alle quali si deve la ricerca): attualmente ospita un totale di 2.434 attestazioni archiviate, disponibili con una fruizione semplice.

Tra le parole più popolari la professoressa Valentina Iosco ha raccontato la lasagna, ricostruendo la differenza fondamentale nel passato tra la pasta a mano e quella a ingegno, successiva alla prima, dopo l’invenzione della trafila. Certa critica faceva risalire il vocabolo al latino lasanum, vaso da cucina, pentola, ipotesi poi sconfessata. Altri lo riportano all’arabo louz, mandorla, con la cui farina venivano realizzati dei dolci a losanga. La sua fortuna comunque arrivò alla Corte di Guglielmo II di Sicilia, quando dal dolce si passò alla pasta, condita in bianco con burro formaggio e spezie, in particolare cannella. Dalla fine del Quattrocento inizia l’abbinamento con la carne, che veniva aggiunta al momento dell’impiattamento. Il pomodoro arriverà dalle terre andine più tardi, diventando successivamente in Spagna una salsa che nel Seicento cominciò ad essere utilizzata anche in Italia con il nome di salsa spagnola. Le lasagne per molto tempo e anche nella ricetta 272 di Pellegrino Artusi (figura di svolta nell'elaborazione gastronomica nazionale con il suo 'La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene') sono sinonimo di tagliatelle.


(La presentazione del progetto AtLiTeG)


Un'altra ricerca nel progetto è dedicata alla Arista (raccontata dalla professoressa Chiara Murru), che prima di essere abbinata con le patate dovette aspettare che arrivassero, sempre dal Sud America attraverso la Spagna. Di arista però si parla solo nei testi da Firenze in giù, ad esempio intorno al 1554-1556 in una menzione del Pontormo. Sull’origine della parola una certa responsabilità l’ha avuta il già citato Artusi, che ne parla citando il Concilio di Firenze del 1439 quando sembra che i partecipanti usassero il termine greco “Arista”, ovvero “eccellente”. In realtà la parola molto probabilmente è riferita al termine latino per la 'spina', la schiena del maiale. Di arista si parla già nel Medioevo; e nel Libro di spese per la mensa dei Priori di Firenze, redatto tra il primo maggio del 1344 e il 30 aprile 1345 si registra che il 60% delle spese erano in carne, il 20% in pesce e solo il resto diviso tra frutta, verdura, cereali e legumi. Si tratta di una tavola ricca, molto diversa da quella del popolo. Nel libro si menziona una notevole varietà di vini dal vermiglio al bianco al vino da taverna, della piazza, oltre i vini pregiati tra i quali si nomina la Vernaccia.

E ancora: il Panettone, ormai noto e diffuso, tutto l’anno, in tutta l’Italia e non solo. Il termine viene censito nel 1857 in un Vocabolario milanese-italiano come panatòn o panatton, “pane addobbato per Natale”, che non era in uso in Toscana, dove c’erano vari tipi di pane ‘conditi’ come il Pan di Ramerino, pasquale, né altrove. La parola, tra leggende e realtà, significa “pane grosso”, accrescitivo di pane in milanese e non pan de ton, pane di tono, di lusso. Tra le storie e gli aneddoti che si incrociano quello di un cuoco, Antonio, detto Toni, che lavorava presso Ludovico il Moro e che avendo bruciato per distrazione il dolce da servire improvvisò un impasto condendolo con molto burro e uva passerina che sono gli elementi tipici di tutte le ricette del panettone, mentre i canditi sono stati aggiunti in un secondo momento. Tra le varie storie legate al panettone si cita anche il “Pan de Toni”, nome di un fornaio che omaggiava così i clienti a Natale. In ogni caso è tra la fine degli Anni Cinquanta e l’inizio degli Anni Sessanta che si assiste alla sua democratizzazione, con la produzione industriale.





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