05 aprile 2023

PIACENZA E PARMA
LA DISFIDA ETERNA
FRA LE PATRIE DI VERDI

di VITTORIO TESTA


(Il busto bronzeo di Verdi, opera di Giuseppe Cantù
davanti alla casa a Roncole di Busseto - foto da casanataleverdi.it)


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Parmense? Piacentino? Parmigiano? Come etichettare Giuseppe Verdi? Fosse vivo, probabilmente si divertirebbe ad assistere a queste tenzoni che periodicamente si combattono sulle rive dell’Ongina, fangoso torrente che scorre davanti a Villa Verdi a Sant’Agata: una zanzariera d’estate e una ghiacciaia d’inverno che secondo Massimo Mila ispirò Verdi nel comporre l’Aida, la notturna pagina del Nilo. Il gracidante fiumiciattolo segna il confine tra la provincia di Parma e quella di Piacenza. Ogni tanto parte un botto, soprattutto dall’artiglieria piacentina fino a ieri comandata da un personaggio di grande caratura, il conte avvocato Corrado Sforza Fogliani, gentiluomo banchiere e collezionista d’arte, leader della destra liberale piacentina, scomparso recentemente.

Che sia stato lui a riaprire le ostilità sul fronte verdiano? Sta di fatto che un suo uomo, Antonio Livoni, candidato alle elezioni, aveva fatto affiggere un grande manifesto, lui e Verdi che si guardano e una scritta surreale: "Vota Antonio Livoni, un piacentino vero. Te lo dice un altro piacentino vero: Giuseppe Verdi". Il tutto con seguente svolazzo di firma del Genio. A parte il fiorire di battute sul "Votantonio votantonio" e l’anagramma di Livoni che sarebbe "Vili! No!", il primo a definire inaccettabile l’uso distorto di Verdi era stato Angiolo Carrara Verdi, unico discendente del Maestro insieme a tre sorelle. "È una cosa disdicevole", questo lo sfogo dell’erede: "Disdicevole e da condannare come indebita speculazione per lucrare un pugno di voti. Verdi è di tutti!" concludeva amareggiato.



E il sospettato mandante, l’avvocato Sforza Fogliani, fondatore della Banca di Piacenza, finanziatore di restauri dei capolavori piacentini - di quel genere di aristocratici che vivono con il culto del territorio natìo? A Piacenza il ritornello del potere era: qui non si muove foglia che Sforza Fogliani non voglia. Lui se la rideva. "Sì, sono il sospettato mandante di ogni cosa faccia la Destra piacentina" diceva amabilmente divertito il conte: "Livoni è una persona stimabile e corretta, non ha bisogno di suggerimenti miei. Ha fatto questo manifesto che non trovo affatto offensivo. Anzi: ritengo sia un modo simpatico anche se un po' provocatorio, di rivendicare la piacentinità certa delle origini dei Verdi, fin dal sedicesimo secolo abitanti delle terre di Sant’Agata e dintorni, Cortemaggiore, Fiorenzuola, Alseno, Villanova d’Arda, dove non a caso il Compositore decise di vivere dopo essere scappato da Busseto, certo la cittadina dove lui fece i primi studi e trovò il Barezzi generoso finanziatore. Ma il Verdi che aprì la posteria alle Roncole, dove appunto nacque Giuseppe, era della schiatta piacentina e guarda caso aveva sposato Luigia Uttini, stirpe originaria del lago Maggiore insediatasi a Saliceto, provincia di Piacenza, città frequenta dal Genio assai più che non Parma".


(La casa natale di Verdi a Busseto)


Tutto vero, non c’è dubbio. Ma… c’è un ma che annuncia una serie di obiezioni naturali: ad esempio una, quella principale: perché dunque Piacenza non si è appropriata di Verdi, lasciando che se ne impossessasse Parma? A Parma, in effetti, Verdi visse molte delusioni, Maria Luigia gli preferiva Bellini, e soltanto dopo che Verdi aveva avuto un successo mondiale con il Nabucco capì che cosa stava succedendo. Parma allestì allora un'edizione sfarzosa del "Nabucodonosor", con Verdi e la Strepponi che alloggiarono per un mese in città. In seguito Verdi dedicò a Maria Luigia la partitura de "I Lombardi alla prima crociata", e l’Arciduchessa gli regalò una spilla di diamanti. Poi arrivarono i Grandi Verdiani Parmigiani, Arturo Toscanini in testa, capace di rivalutare e rilanciare il Genio immortale. Ma, volendo, anche qui troveremmo di che piacentinizzare la vicenda: il padre di Toscanini di dov’era? Di Cortemaggiore, provincia di? Piacenza.



La piacentinità di Verdi ha una sua Bibbia: la biografia dell’americana Mary Jane Phillip Matz dal titolo "Verdi". Libro edito in inglese, francese e spagnolo. Non in italiano perché un’azione legale degli eredi impedì che si stampasse nella nostra lingua, per via di accenni poco graditi circa la vita intima del Compositore. Sorridente e gentile, ogni anno Sforza Fogliani regalava volentieri copie di un volume tratto dalla biografia proibita. Titolo: "Giuseppe Verdi, gentiluomo piacentino". Saggio, beffardo e uomo del fare, Sforza Fogliani era stato il primo a mettere da parte motivi campanilistici e a suonare le campane dell' all'armi: "Prepariamoci a una battaglia comune nel nome di Verdi" - diceva il conte piacentino - "facciamo in modo che Villa Verdi non finisca in mani straniere o comunque in mano a persone dall'intento commerciale. Sarebbe una colpa imperdonabile per tutti noi italiani. Io sono pronto a iniziare colloqui e incontri con chi sia veramente interessato, chi abbia davvero a cuore il destino di un luogo della Patria: ricordiamoci che senza Verdi il Risorgimento sarebbe stato diverso".


(La panchina dedicata a Verdi a Parma)


Ma insomma, non sarebbe meglio lasciare in pace l’anagrafe verdiana? È un invito implicito, contenuto nella dichiarazione del professor Corrado Mingardi, bussetano storico dell'arte, collezionista, verdiano vero: "Verdi definì se stesso così: 'Sono un paesano delle Roncole' - dice Mingardi "E 'paisan' in dialetto significa contadino, in opposizione a cittadino. Ma comunque è giusto e bello che parmensi e parmigiani, piacentini e milanesi e tutto il mondo rivendichino a sé la cittadinanza verdiana. È un trionfo giusto e doveroso per un artista che appartiene a tutta l’umanità".









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