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10 agosto 2024

Mina quasi Jannacci

di Carlo de Nonno

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tessier
Illustrazione di Adriana Tessier

Nell’ottobre del 1977 avviene un matrimonio strano, uno di quelli che forse non s’avevano da fare. Esce l’album “Mina quasi Jannacci” con un pugno di canzoni bellissime (e dì che no?) ma praticamente sconosciute, o conosciute in cerchie selezionatissime e, già allora, abbastanza in via d’estinzione.

Matrimonio d’interesse? Beh, certo un album di Mina una certa boccata di Siae la dà sempre, ma non credo che Enzo ne avesse proprio bisogno e poi ma chi è che fa la fila per comprarsi – così, una a caso – “La sera che partì mio padre” (una pietra miliare, comunque)? Ma dai, ma nemmeno nel 1977.

Matrimonio d’amore? Mah. Andiamoci un po’ a leggere che ne scrisse la Mazzini in un volume di parole e canzoni di Jannacci curato per Einaudi da Vincenzo Mollica nel 2005, “Poetastrica”: “Era come se intorno a lui ci fosse sempre un gran vento, un fracasso di macchine in funzione (…). Ti sentivi né più né meno che una interferenza. Una intrusione. E una intrusa mi sono sentita nel fare quel lavoro con i suoi pezzi. Troppa voce, troppo pulita, troppo cantata, troppo ‘americana’, troppo stronza”. Oh, l’ha detto lei eh?

Sta di fatto che due così si “sposano” e quindi che ne viene fuori? Beh, ad esempio quella voce “troppo..troppo…troppo…” che con aria da sciura si avventura piuttosto improbabilmente nei problemi di chi deve pagare una cambiale, di un figlio che piange il padre ucciso militare, dell’ultimo sguardo annebbiato di un uomo che sta per morire, di una che si mette a volere bene a una fabbrica, di uno che tira a campare, di uno che cerca di salvare un fiore sfiorito, di Rino, di un bell’animalone, di uno che dice vita vita, di un altro che come tutti (beh, diciamo come tanti) si ritroverà “stretto vicino” a qualcun altro.

Bella roba, e con gli arrangiamenti di Gianni Ferrio. Bravissimo, ma poi ci senti sempre un po’ Canzonissima.

Sed….è Mina. E lui è “quasi Jannacci”. E dunque il disco mozza il respiro, e lo mozzerebbe anche se la signora non si mettesse a scalare ottave e tonalità, e se le canzoni non fossero tutti capolavori che ormai si è perso lo stampo, se non ci fosse il miracolo — a 1’ e 47” ca. di “E l’era tardi” — di Enzo che entra e (parlando senza cantare, come ci tiene a scrivere Wikipedia) va a chiedere per l’ennesima volta all’amico commilitone (ma ormai non più né questo né quello) le lire che gli servirebbero per onorare una “tratta”:

Ciao Rino: scusa…lo so che è tardi…

Vabbè, io sono fissato con Jannacci, lo so.

Però, il fatto è che poi…ci dimentichiamo…


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