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14 luglio 2021

Milano,
cronaca di un ricordo

di Carlo de Nonno

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(L' autore ringrazia Antonio Silva per la preziosa consulenza sulla grafia del dialetto milanese)




Quel che sunt drée cüntavv l'è una storia vera…


…una Milano che non è quella di piazza del Duomo deserta, con uno solo che forse sta chiamando il telefono amico e un altro lontanissimo che svicola e cerca di non respirare perché ormai non si sa più…

La mia Milano è la città de fà rid che vide anche Enzo (anzi l’Enzo) terrunciello imbambolato in braccio al papà, che voleva urlare disperato e allegro: Ohè! Sunt chi, sto qua, sono arrivato e ci resto.

Sì perché non c’è Tecoppa che tenga, la Milano come l’ha raccontata il terrone Marotta nel Mal di Galleria non l’ha raccontata nessuno.

Vabbè, per me, quando la vidi la prima volta, erano già passati troppi anni, era già la Milano da bere, delle modelle, della Rai, dell’aperitivo e di Brera (non la Pinacoteca, lo struscio).

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Illustrazione di Adriana Tessier

Ma la città che io volli vedere e che poi ho visto per sempre era quella che scoprivo io, anzi mi inventavo, terrunciello che alla Standa di Salerno scovava i dischi Joker dell’Enzo tra cui i mitici La Milano di Enzo Jannacci o Enzo Jannacci in teatro (in teatro…..). Che sudava sette camicie con la cuffia Sennheiser non completamente insonorizzata (anche perché rattoppata con lo scotch e la gommapiuma da imballaggio) per decifrare quella lingua sghemba come l’autore, smozzicata ma mai ostile.

E così io ho visto el Navili laddove l’ è püssee negher, due i barcuni poden no rivà

ho visto l’ultima puttana dai calzett de seda cun la riga nera scaricata come ogni sera a Piazza Beccaria dal rucchettee che aspetta il grano al bar incurante di chi lo giudica un puu un pistola (e magari, pensa lui, c’ha la moglie da mantenere)

ho sentito l’urlo disperato, me ’n strascee, del poveraccio a Rogoredo a cui la donna di un incontro occasionale ha fottuto i suoi des chili e che pure la implora di non lasciarlo

ho visto il Duomo pieno di acqua piovana

ho visto i mücc de cartun con barbone incorporato, vivo o morto non risulta, e non necessariamente portante i scarp del tennis

ne ho visto la tarda reincarnazione avvicinarsi per chiederti una sigaretta, ma questa volta implacabile: va’ che sei ‘na roba brütta, eh!

ho sentito il dolce alterco all’Anagrafe tra chi è uscito senza la biro e quello che non ce l’ho la biro se ce l’avevo mica ce la chiedevo a quel signore qua

ho visto il Rino affacciarsi, interrotto mentre 'l fa l’amur dall’amico di guerra che scusa Rino el su l’è tardi, ma non è che c’hai un bel mila lira dimenticato in tasca che a me serve per quattà una trata… no eh? Ciao Rino…

ho accompagnato l’ultimo operaio a inebriarsi delle luci del centro (le luci del centro…) dopo otto ore di fatica e sognare l’assurdo di vèss un sciur che può comprare la vestina alla bimba e i scarp al bimbo ma sa che dovrà accontentarsi della bela faceta inscì netta della moglie

ho visto i Bastiun dove un brütt lenzoeu bianch pietosamente copre il corpo di una che batteva e che il marito ignaro si rifiuta di riconoscere

tante altre cose ho visto. Si vabbè anche Sant’Ambrogio, la Galleria, Il Cenacolo, le mostre, gli intellettuali, le librerie ma quelle stanno sempre là, anche il telefono amico può dirti di andarle a vedere per non suicidarti…

Ma la città di cui sopra è quella che ce l’ho denter in di oeugg, ce l’ho negli occhi come un fiulí tacaa su ‘l respingent del tram come in giostra volar…

Anche se non esiste più

Quel che sunt drée cüntavv l'è una storia vera…



Testo della Canzone

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