WOMEN AT WORK
IL LAVORO NASCOSTO
NELL'IMPERO DI VIENNA

- tutte le immagini per gentile concessione del Museo della Tecnica di Vienna)
L’abito lungo, il busto, i mutandoni, i capelli raccolti in crocchie zeppe di forcine e il grembiule bianco, immancabile per le modiste ma anche per le sarte, le telegrafiste o le tessitrici. Le foto in mostra (dal 2 maggio al 2 luglio) per il 150° anniversario della Esposizione Universale di Vienna, al Technisches Museum (Museo della Tecnica) ci rimandano un’immagine di operaie, studentesse e lavoratrici a noi estranea. La scomodità dell’abbigliamento, pensato per il tè in casa, stride (dal fumoso bianco e nero) con i nuovi macchinari dell’era industriale.
E non è la sola cosa che contrasta con il nostro tempo. Nessuno sapeva, o si fingeva di non sapere, quale e quanto fosse il lavoro femminile in Europa, anzi nell’impero austro-ungarico dell’ultimo quarto del XIX secolo. “Il Padiglione delle Donne dell’Esposizione Universale del 1873 fece luce su un aspetto importante della società. E fu preso ad esempio a livello internazionale in tutte le esposizioni mondiali che seguirono - racconta Carla Camilleri, responsabile dell’Archivio e della Biblioteca del Technisches Museum nonché curatrice della mostra Women at Work – Non c’era moltissima documentazione in vetrina, ma svariati manufatti in arrivo da ogni parte dell’impero. Ricami e cuffiette, vestitini da battesimo con i pizzi e piccoli ninnoli”. Un centinaio di oggetti che nel 1873, in una Vienna asburgica, sfarzosa ed elegante, testimoniavano qualcosa di sconosciuto sulla vita delle donne borghesi e popolane, uscite dalle mura domestiche spesso per bisogno, a volte per voglia di indipendenza, comunque sempre con fatica.
“Dell’Esposizione Universale restano pochi pezzi originali, - spiega appassionatamente Camilleri, che fatica a ritrovare il suo italiano dopo trent’anni da expat della cultura – materiale raccolto da due funzionari dell’allora Ministero del Commercio e dell’Industria che aprirono un’inchiesta sul lavoro femminile viaggiando a lungo in tutti i paesi dell’impero e raccogliendo cose, storie, ricordi, foto, abitini pregiati e carte poi burocraticamente convogliate in due cataloghi-inventario”. Si scoprì allora che le frau dall’Ungheria alla Germania passando per l’Austria (di oggi) erano impiegate nella produzione e nella coltura del baco da seta, nella confezione di cappelli e guanti, come merlettaie, sarte, nel settore fotografico dove addirittura si erano specializzate nella colorazione delle lastre al positivo e nei ritocchi dei negativi. Tra arte e artigianato, insomma, hanno lavorato per anni nell’ombra delle fotografe ante litteram che trasformavano le immagini in piccoli capolavori.
Non solo. Gli addetti al telegrafo e alle comunicazioni erano per lo più donne, eppure il primo liceo femminile fu fondato soltanto nel 1892, quasi vent’anni dopo l’Esposizione di Vienna. E a fondarlo fu Marianne Hainisch, nata nel 1839, pioniera dei diritti delle donne, scrittrice e promotrice, insieme ad altre tredici signore, del Padiglione delle Donne che per la prima volta poneva l’accento sul gender e l’istruzione. Il motto della rassegna più grande che Vienna avesse mai visto negli spazi del parco cittadino del Prater (la cosiddetta Rotonda che decenni dopo andò in fiamme) era proprio Kultur und Erziehung, ovvero la cultura e l’istruzione che le quattordici attiviste volevano per sé stesse, le madri e le proprie figlie alle quali erano stata negata l’università.
Ciò che illustra oggi Women at Work (biglietto d’ingresso 16 euro) è una realtà che abbiamo imparato a conoscere e che scorre nei fotogrammi del film interattivo sul grande schermo del Salone delle Feste. Nelle teche di vetro i manufatti preziosi di allora e sui pannelli che scendono come drappi i volti delle pioniere dell’Expo 1873. Donne e ragazze dimenticate, ma che hanno cambiato la nostra storia.
(Technisches Museum: Mariahilfer Straße 212, 1140 Vienna
www.wien.info/it
www.technischesmuseum.at)
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