SCIANNA
LA SICILIA
E IL MONDO

Milano Palazzo Reale, fino al 5 giugno

foto e testo di ROBERTO ORLANDO

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Ci sono almeno due ragioni che giustificano una visita alla mostra di Ferdinando Scianna a Milano, a due passi dal Duomo. Il primo è che lo stendardo che la annuncia è esattamente sopra l'ingresso di Palazzo Reale e alla sua destra, cioè di lato, si nota non senza una certa meraviglia quello dedicato alla mostra di Tiziano (sì Tiziano Vecellio, il pittore rinascimentale veneziano, hai letto bene). A prescindere dal motivo che ha spinto gli allestitori di Palazzo Reale a sistemare i manifesti in questa sequenza, l'effetto comunque resta ed è un grande onore non soltanto per Scianna ma anche evidentemente per un'arte mai ufficialmente riconosciuta: la Fotografia, genitrice bistrattata del Cinema, il quale invece chiude paradigmaticamente l'elenco delle "sette arti".

L'altro motivo per cui (anche) questa mostra la devi assolutamente visitare è che di Scianna si è già detto, visto, letto quasi tutto, ma in questo caso c'è un dettaglio che marca la differenza: è l'autore stesso a dire di sé e della sua opera. È proprio quella di Scianna, infatti, la voce narrante che accompagna tutte le sezioni dell’esposizione e in molti casi persino le singole fotografie.

E allora su, partiamo. Darò qualche colpo di flash, per restare in tema, anche se personalmente ho smesso di usare i lampi artificiali in fotografia subito dopo l’avvento delle macchine digitali. Però in questo caso secondo me ha un senso: il flash non rivela tutto uno scenario, un intero percorso, ma solo alcune parti selezionate arbitrariamente. Il resto rimane da scoprire e in questo caso sarà compito (e piacere) tutto tuo.

E allora dedico il primo lampo ai libri di Scianna, “il fotografo che scrive”, come si definisce lui. I volumi sono esposti in lunga teoria sotto vetro all'ingresso della mostra di Palazzo Reale (piano nobile, faccio notare, tanto per ribadire il concetto che ti ho segnalato in principio).

In pratica, questa carrellata è una specie di sommario dei temi e delle storie fotografiche che si incontreranno lungo il percorso espositivo, composto da oltre duecento immagini di vario formato. Dico sommario perché qui di copertina in copertina si ritrovano le tappe principali della vicenda professionale e artistica di Scianna, dal libro che lo ha lanciato nel Gotha della fotografia - Feste religiose in Sicilia, testo di Leonardo Sciascia, libro raro e prezioso - fino al secondo volume dedicato al suo illustrissimo maestro, Henri Cartier-Bresson, pubblicato lo scorso anno. In mezzo storie della sua Sicilia, di Bagheria - la cittadina vicina a Palermo in cui nacque nel ‘43 - e del resto del mondo e di tutti i mondi possibili: dalla guerra alla moda, dai bambini al dolore, dalla vita alla morte.

Tutto rigorosamente in bianco e nero. "Io guardo in bianco e nero - conferma del resto lo stesso Scianna - penso in bianco e nero. Il sole mi interessa soltanto perché fa ombra". Due tinte e una decina di sfumature di grigio (niente a che vedere con insomma le cinquanta del famoso libro-film) per raccontare la vita nella gioia e nel dolore, nell'infanzia, nella vecchiaia, nella morte o con la morte.

Così nella galleria sfilano per prime le immagini delle feste religiose in Sicilia, che Sciascia nel libro definisce "innanzitutto, una esplosione esistenziale... Poiché è soltanto nella festa che il siciliano esce dalla sua condizione di uomo solo". Magari con il cappuccio bianco, magari porgendo il figlio - scomposto in una posa da agnello sacrificale – verso la statua del santo di turno che sfila per le vie del paese. Magari con una teoria di ragazze con la testa coperta dal velo o magari sottolineando con la magia del grandangolo la postura della disperazione di un uomo adagiato tra la folla sulle scale del sagrato di una chiesa.

La Sicilia pervade tutta l'opera di Scianna, anche quando non è rintracciabile come soggetto della fotografia: "Si cerca di dimenticarla la Sicilia - spiega lui stesso - buttandosi ad interrogare e ad esplorare il mondo per poi scoprire che lo sguardo che posi sul mondo è inequivocabilmente quello dei tuoi occhi di siciliano". Non è una battuta a effetto, si vede davvero, e nitidamente, anche in questa mostra milanese.

Che a mio parere proprio perché si articola per grandi categorie poi sviluppate al loro interno in ordine cronologico, rende con precisione il pensiero e lo sguardo del siciliano Scianna. Accade in particolare nella parte dedicata ai bambini, in cui l'essere bambino è raffigurato con una simbolicità così forte da far capire che l’infanzia solo in apparenza è uguale in tutte le parti del mondo. I bambini giocano, piangono, ridono, soffrono, amano con le stesse modalità: cambia il taglio degli occhi o il colore della pelle, ma i loro sguardi, lo loro espressioni, i loro movimenti si somigliano in ogni immagine. Ma senza luoghi comuni: "Se interroghiamo senza ipocrisie e lontano da luoghi comuni le nostre esperienze con i bambini - sostiene Scianna - credo che arriveremo serenamente alla conclusione che i bambini sono come noi, né migliori, né peggiori".

E la fotografia secondo Scianna ha proprio questo scopo: arrivare al nocciolo della questione, "mostrare, non dimostrare", nella profondità della miniera di Kami, in Bolivia come tra gli sventurati in pellegrinaggio verso Lourdes. Concetto che viene ribadito in chiave filosofica nella sezione dedicata agli specchi: "Davanti a una fotografia cominciamo ogni volta a porre l'eterna domanda che poniamo al mondo. La stessa domanda che poniamo agli specchi. la bellezza si interroga sulla bellezza, la vecchiaia sulla vecchiaia, la vita sulla vita...".

A causa della mia solida deformazione professionale, considero familiare anche un'altra definizione di fotografia che Scianna ci consegna lungo il percorso di visita, precisamente nella sezione dedicata alle donne, dove tra l'altro l'autore racconta la sua esperienza quasi decennale nel mondo della moda con Dolce Gabbana. Ecco, qui Scianna si concede, e la concede alla sua idea di fotografia, una deroga importante: "Ho sempre considerato di appartenere al versante dei fotografi che le immagini le trovano, quelle che raccontano e ti raccontano, come in uno specchio". Poi però ha dovuto fare i conti con la moda: "... Per la prima volta nella mia vita facevo anche la regia delle mie fotografie", sia pure con un certo senso di colpa superato rapidamente, par di intuire, con uno stratagemma: "Dicevo alle modelle e ai modelli dove mettersi e gli facevo ripetere gesti che si accordavano con le situazioni...".

Non so se sia accaduto anche per la grande fotografia (non solo di formato) che introduce la sezione, ma di certo quella gamba sinuosa che domina il primo piano fa da proscenio e al tempo stesso da sfondo alla modella che si muove poco dietro, proprio dove e come ci si aspetta. Non so, ripeto, se questa immagine sia il risultato di una regia, ma in caso affermativo caso meriterebbe l'Oscar.

Per quanto mi riguarda una delle parti più intriganti della mostra è quella dedicata al sodalizio professionale e alla profonda amicizia con Leonardo Sciascia, al quale Scianna ha scattato oltre 1200 foto dagli anni '60 in poi, compreso l'ultimo ritratto fatto a Milano su richiesta dello scrittore stesso pochi giorni prima di morire, nel 1989.

La foto, rimasta inedita almeno fino al 2021, anno del centenario della nascita di Sciascia, ora compare in mostra con una didascalia in cui il fotografo spiega la genesi del ritratto: "Intuii con dolore il senso di quella richiesta: 'Mi hai fatto tante fotografie, fammi questa, l'ultima'. Un autoritratto di un condannato a morte". In mostra, subito dopo questo Sciascia dolente, non può sfuggire un'altra foto molto significativa, l'unica che non sia opera di Scianna. Ritrae ancora Sciascia e lo stesso Scianna insieme, sorridenti e l’autore è, nientedimeno, Henri Cartier-Bresson, il più celebrato dei fotografi, che volle Scianna, primo italiano, nella sua prestigiosissima agenzia, la Magnum.



Cartier-Bresson, a sua volta altrettanto sorridente, compare in mostra nella straordinaria carrellata di ritratti realizzati da Scianna nel corso della sua carriera di fotografo-giornalista. Le foto sono tutte belle, rivelano che tra autore e soggetto si è sempre creato un legame, magari temporaneo, magari questione di un attimo, però decisivo. La sequenza di volti è fantastica, ma il racconto di Scianna su quell'attimo decisivo o sul suo rapporto con la celebrità fotografata è davvero interessante, perché non è mai superficiale e indaga soprattutto la sfera delle sensazioni, delle emozioni.

Come nel caso dell'incontro con Jorge Luis Borges a Palermo: "Raramente ho incontrato uno scrittore, un artista che di persona fosse all'altezza del mito che me ne ero fatto...". Oppure di quello con il pubblicitario Armando Testa, il papà di Carmencita e del pianeta Papalla: "Bello, scolpito, ironico, gigione. Un piacere fotografarlo". O di quelle foto scattate a Gillo Dorfles pochi giorni prima del suo centesimo compleanno: "Un giacimento di intelligenza".

E avanti così, di sguardo in sguardo, di sorriso in sorriso, da Jacques-Henri Lartigue a Mimmo Paladino, da una giovanissima Monica Bellucci a Milan Kundera nel pieno della maturità: "Impressionante, allegro, travolgente..." L'aneddoto che lo riguarda è stravagante: lo scrittore era stato contattato per un'intervista da un'importante rivista letteraria e chiese a Scianna di fargliela. "Ma vorrei scriverla io - fu la proposta dell'autore dell’Insostenibile leggerezza dell’essere -, sia le domande che le risposte. A te dispiacerebbe firmarla?" Il fotografo-giornalista accetta, onorato: "E' certo la migliore intervista che io abbia mai firmato".



Un aneddoto per ciascuno, una storia dietro ciascuna immagine come solo i grandi fotografi sanno fare. Una bella foto, noi che siamo praticanti di quest’arte cadetta, siamo in grado prima o poi di farla tutti. Il problema è farle tutte belle, raccontare sempre una cosa in più oppure far immaginare tutta la storia per intero mostrando soltanto un dettaglio, la parte per il tutto...

In chiusura mi permetto un'osservazione che non riguarda soltanto questa mostra, ma quasi tutte le mostre di fotografia al tempo d’oggi. Mi dispiace che le foto siano ristampate con tecnologia digitale. Non perché trovi scandalosa la ristampa, anzi, direi che sia la norma: una delle differenze tra la fotografia e tante altre arti visive è che l'immagine può essere replicata all'infinito nel tempo e su supporti diversi. E poi nelle mostre di fotografia come questa il bianco e nero è sempre perfetto - direi invidiabile dal mio punto di vista di artigiano della camera oscura - però il risultato è che dalla prima all'ultima foto è tutto omogeneo, anzi omogeneizzato, e a me invece piacerebbe vedere le stesse foto stampate nella loro epoca, con gli strumenti ma soprattutto con la sensibilità dell'autore (o dello stampatore) nel periodo in cui sono state scattate.

Credo che il risultato sarebbe ancor più interessante e non soltanto dal mio punto di vista di appassionato di fotografia e della sua storia.

La mostra “Ferdinando Scianna Viaggio Racconto Memoria” sarà a Palazzo Reale di Milano fino al prossimo 5 giugno.
Info e biglietteria: www.palazzorealemilano.it/mostre/viaggio-racconto-memoria





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