DEPT.Q
LA FRASE – “Qui c’è poca criminalità perché tutti gli stronzi vivono a Londra”
Sdrucito come il tenente Colombo. Irritante come Dr House. Acuto ed efficace come nessun altro. Carl Morck, ispettore capo inglese finito a lavorare a Edimburgo dopo un matrimonio naufragato, è il nuovo eroe delle serie noir. Tipo assai difficile, per lui si sprecano gli aggettivi più urticanti. È sarcastico, antipatico, scostante, cinico, misantropo, arrogante, asociale. Eppure. Sono bastati pochi giorni perché le sue vicende, raccontate su Netflix nella serie “Dept. Q – Sezione casi irrisolti”, si siano imposte all’attenzione. Nonostante un long form da nove puntate.
L’inizio è bruciante. Morck, insieme al suo partner Hardy, capita per caso in un’abitazione dove è stato commesso un delitto. Ci trova un agente all’apparenza piuttosto imbranato. Durante il sopralluogo, da una stanza sbuca un personaggio con il volto coperto da un passamontagna, che spara a tutti e tre. Bilancio: l’agente muore, Morck viene colpito al volto e Hardy alla schiena. Mentre questi rimarrà parzialmente paralizzato, Carl sopravviverà portandosi dentro un pesante rimorso.
Costretto a sottoporsi a sedute psicoanalitiche per cercare di rimediare allo stress post traumatico, le affronterà molto controvoglia, com’è intuibile. La via d’uscita, ancorché complicata, verrà dalla costituzione di un dipartimento di lavoro, quello dedicato ai casi irrisolti, che Morck sarà chiamato a dirigere. In realtà si tratta di un espediente, molto farlocco, che servirà al suo capo – Moira Jacobson – per ottenere dalla Corona un cospicuo finanziamento che verrà presto dirottato al resto del dipartimento di polizia da lei guidato.
A Morck sarà riservato lo scantinato che ospitava spogliatoi, docce e cessi, trasformato in magazzino. Agli inizi non avrà né collaboratori né attrezzature: neppure un computer. Con qualche fatica, e parecchi improperi, l’ispettore capo riuscirà a farsi dare almeno due collaboratori. Scarti umani, come lui. Almeno apparentemente. In effetti, al di là delle apparenze, Morck scoprirà di avere a che fare con collaboratori dalle risorse inaspettate. Il primo con cui si misurerà, del tutto sottovalutato, è Akram, un rifugiato siriano dai modi molto formali e gentili e dalle insospettabili competenze. Li raggiungerà poi Rose. Anche lei piuttosto disadattata, a causa di un terribile incidente di servizio. Relegata a svolgere compiti d’ufficio di scarsa importanza. A fianco dei due, e con il sostegno di Hardy che la guida dall’ospedale, ritrova le capacità di abile investigatrice, grazie a un punto di vista obliquo, molto efficace, che le permette di vedere dove altri non arrivano.
Quanto al caso da risolvere, sarà il siriano a proporre nuove indagini sulla misteriosa sparizione, avvenuta quattro anni prima, di un’avvocata della Procura. Storia raccapricciante, raccontata con dovizia di particolari, ricomposta con testardaggine e acutezza dalla squadra “Q”, con grande sorpresa e tardiva ammirazione da parte degli altri appartenenti al dipartimento di polizia. In un crescendo lento, ricco di spunti e talvolta di scambi divertenti tra l’inglese che odia gli scozzesi e gli scozzesi che disprezzano l’inglese, le vicende di Morck e della sua squadra improbabile conquistano. Le nove puntate fanno apprezzare ogni lato del complicato carattere del protagonista, che si rivela – da ruvido e insensibile – personaggio non privo di attenzioni nei confronti di chi gli sta intorno. Senza cadute in melensaggini, ovvio.
Per chi lo voglia, è interessante ascoltare l’audio originale: tutti parlano con accento scozzese, mentre Morck si esprime in inglese molto british. Nella versione italiana questo gioco ovviamente si perde. Così come purtroppo le battute polemiche tra lui e i locali vengono banalizzate e ridotte, chissà perché, a degli sfottò di tifo calcistico.
A parte queste cadute, la serie si avvale dell’interpretazione davvero apprezzabile di un cast di livello. Nei panni di Carl Morck, Mattew Goode (The Offer, The Crown), sembra davvero a proprio agio. Molto bravo Alexej Manvelov (che ricordiamo in Chernobyl) riesce a costruire il personaggio di Akram con grande precisione: impresa non facile, data la sua doppiezza. Rose, interpretata da Leah Byrne (Nightsleeper) è molto divertente. Kate Dickie (Il trono di spade) è l’inflessibile, ma non disinteressato, capo di Morck. La regia di “Dept.Q – Sezione casi irrisolti” è di Scott Frank, creatore de “La regina degli scacchi”, che ha trasformato le atmosfere danesi dei romanzi di Jussin Adler-Ossin – venduti in milioni di copie – in quelle scozzesi. Come mai questo trasferimento? “Non avevo mai visto una serie ambientata a Edimburgo – ha spiegato il regista – È una città bellissima. È la combinazione perfetta tra moderno e medievale, stanno fianco a fianco e funziona in modo meraviglioso”. Semplice.
Curiosità: tre episodi, dei nove, sono stati diretti dall’italiana Elisa Amoruso, cui si deve The Good Mother.