LA RAGAZZA DI NEVE
LA FRASE – “Non ci sono carnefici. Il mondo è fatto così e ti farà a pezzi”
Il 5 gennaio del 2010, durante la festa dei Re Magi a Malaga, Amaya Martìn, tre anni appena, sparisce. Impossibile trovarla, nella ressa. Disperati, i genitori chiamano la polizia, ma senza esito. Ansia, disperazione, sconforto. Alle indagini, condotte dall’ispettrice Millàn, si affiancheranno le ricerche di Mirén Rojo, una stagista che farà davvero di tutto per capire dov’è finita Amaya.
E per scoprire chi l’ha rapita, perché fin da subito si capirà che ci si trova di fronte a un rapimento. Ci vorranno dieci anni per venire a capo del mistero. Sarà decisivo proprio l’impegno di Miren Rojo, alle prese con le ferite profonde, e con gli incubi ricorrenti, di uno stupro subito qualche anno prima.
Gli ingredienti per catturare l’attenzione del pubblico ci sono tutti, ne “La ragazza di neve”, serie Netflix tratta dal best seller di Javier Castillo. Il racconto, distribuito in sei puntate, è molto realistico. Merito della regia di David Ulloa e Laura Alvea (cui si deve “La isla minima”, un film che merita) che ha aggirato con mano decisa i toni urlati che spesso rendono pesanti i prodotti spagnoli. Così è stata privilegiata una normalità che rende assai più credibile l’incertezza angosciante di una storia piena di alti e bassi.
La sparizione della bambina è accompagnata dal buio in cui si trova a operare la polizia. L’unica luce, per i genitori, viene dalla determinazione dell’ispettrice, ostinata a proseguire le indagini. Ma è una luce destinata ad affievolirsi a mano a mano che passa il tempo. Sarà Miren a mostrarsi più puntigliosa e acuta nelle intuizioni, perché più disposta a spingersi là dove la polizia viene frenata da regole e burocrazia. La giovane dovrà lottare su tre fronti: il rapporto teso con l’ispettrice, mai riuscita a scoprire i colpevoli dello stupro; l’iniziale sfiducia che il caporedattore mostrerà nei suoi confronti; l’oggettiva difficoltà a capire chi siano i rapitori della bambina. A tenere accesa l’attenzione suL caso, l’arrivo di videocassette che ritraggono Amaya intenta a giocare, in una normalissima stanza da bimbi.
Ogni volta che arriva una di quelle videocassette, sempre indirizzate a Miren, per la polizia è uno choc, per la stagista è un motivo in più per approfondire le ricerche. Per i genitori una ragione di angoscia mista a speranza: quelle immagini confermano che la figlia è viva. Dunque potrebbe ancora essere trovata, se la polizia facesse il proprio mestiere, se la taglia promessa inducesse la gente a collaborare, se accadesse l’imprevisto…
La svolta avviene al penultimo episodio. Il racconto cambia di prospettiva e si entra in quella dei rapitori: ottimo espediente, che non è consentito anticipare, se non per dire che è destinato a ravvivare l’attenzione dello spettatore.
Protagonista, nella parte di Miren, l’attrice Milena Smit già vista in “Madres Paralelas” di Pedro Almodovar. Al suo fianco, José Coronado, nelle vesti di tutor e saggio giornalista anziano, un attore molto apprezzato in Spagna, protagonista di serie tv come “Vivere senza permesso” ed “Entrevias” di recente giunta alla quarta stagione (già disponibile anche da noi sempre su Netflix). Loreto Mauleón è Ana, ginecologa in una clinica privata, la madre amorevole di Amaya.
La “Ragazza di neve” è del 2023. Due anni dopo, a fine gennaio, è uscito il seguito, adattamento del romanzo “Il gioco dell’anima”, secondo libro della saga. Anche in questo caso, Miren è a Malaga. Il corpo di una diciassettenne viene trovato crocifisso in periferia. Partono le indagini della polizia, con l’ispettrice Millàn. A fianco di Miren c’è sempre Eduardo (José Coronado). Squadra che vince, non si cambia. Neppure a Malaga.