NELLA PACIOSA TREVISO
INDAGA IL PLACIDO STUCKY
LA FRASE – “Trévis n’est pas Paris” (Giovanni Comisso).”
Giuseppe Battiston ha una faccia simpatica anche con qualche chilo in meno. E Treviso, città di cui interpreta l’ispettore Stucky, è ancora l’ambiente intrigante di Signori & signore. Città d’acqua, “dove Sile e Cagnan s’accompagna”, come cantava Dante. Elegante e insieme teatro di omicidi efferati. Quelli su cui Stucky, di origine siriana ma “italiano il giusto” è chiamato a indagare.
Il suo stile è quello del tenente Colombo, con qualche richiamo al Maigret di Simenon, autore molto praticato da Battiston, che ne ha interpretato più di trenta titoli in audiolibri assai apprezzati.
Del tenente Colombo ha i modi, l’impermeabile di tante stagioni e l’acume che lo porta là dove altri non arrivano, in forza della parola. Di Maigret, la passione per la tavola, il buon vino e il fumo che concilia i pensieri profondi, qui affidato a robusti sigari, non alla pipa. Del resto, siamo a Treviso, non sul Quai d’Orsay.
La serie Stucky, in sei puntate su Rai2 il mercoledì sera, è di quelle molto tranquille. Che in parte ti riconciliano con i prodotti italiani. La formula è semplice. Banditi i preliminari, al delitto si assiste subito. E fin da subito si sa chi è il colpevole. All’ispettore Stucky il compito di scoprirlo, scavando oltre le apparenze. Infine, sarà lui a spiegare al o alla colpevole come ha fatto a individuarlo/a. In un’ora il ciclo sarà compiuto. Il tutto accompagnato da una colonna sonora, di Massimo Capogrosso, con prevalenza di toni gravi del fagotto, evocativi della dimensione “noir”.
Stucky è personaggio atipico. Non ha patente, non possiede smartphone, né computer, né pistola. Odia i social, che non frequenta, e la vista del sangue gli dà molto fastidio. Non lo si vedrà mai davanti a un cadavere durante l’autopsia, al contrario scondinzolerà sornione intorno all’anatomopatologa Marina Šimkova. Difficile dargli torto, dal momento che è interpretata da Barbora Bobulova (avvocata nella serie “Studio Battaglia”), che emana un fascino discreto e potente: i due sono molto generosi di languide occhiate. Chissà.
L’ufficio della questura, che dovrebbe appartenere all’ispettore, non si vede mai. Il posto preferito dove Stucky allinea e interpreta i foglietti sui quali ha preso appunti è un tavolo dell’osteria di Secondo. Bel personaggio anche lui, quello che lo rifornisce di “ombre” e suggerimenti sia sulle indagini, sia sulla gente di Treviso: “Qui, se ci mettiamo a contare i corni in testa della gente, capirai…”. Diego Ribon riesce a disegnarne la figura in modo sobrio, anche se l’aggettivo riferito a un oste potrebbe sembrare paradossale.
L’ispettore ha anche due partner – Guerra, un po’ imbranato, e la giovane e acuta Ilaria – ma preferisce agire da solo. Proprio come il tenente Colombo, i suoi contatti con i sospettati non sembrano mai interrogatori. E l’ultima battuta, in genere insidiosa, gli viene dopo aver fatto finta di andarsene: un passo indietro, con fare distratto, e la trappola scatta. Anche la mimica ricorda quella di Peter Falck. Impossibile non apprezzare la misura di Battiston, che già aveva vestito i panni di Stucky nel film “Finché c’è prosecco c’è speranza” (2017).
Nelle sei puntate i protagonisti sono affiancati, a turno, da bravi attori come Federica Fracassi, Roberto Citran, Paola Sambo.
Gradevole l’ambientazione, anche grazie alla regia di Valerio Attanasio che riesce a ridurre al giusto le inquadrature-cartolina, in omaggio alla Pro loco trevisana.
La serie è liberamente ispirata ai libri di Fulvio Ervas. Assai prolifico, finora ha dedicato dieci titoli all’ispettore persian-trevisano. L’ultimo, dal titolo “Il tatuatore innamorato”, è di quest’anno: si può ragionevolmente pensare che la serie tv abbia lunga vita.
Il gran favore del pubblico è legato soprattutto alla dimensione tranquilla del racconto. Così priva di scene raccapriccianti e violente che pare davvero impropria l’avvertenza all’apertura di ogni episodio: “Si consiglia la visione a minori accompagnati”. Scrupolo opinabile, se si pensa che minore, nel nostro Paese, è considerato chi non abbia ancora compiuto i 18 anni. Ridicolo pensare che un diciassettenne di oggi sia obbligato a vedere la tv insieme ai genitori. Neppure il ministro Valditara arriverebbe a pensarlo.