“GEFESSELT”
LA TRAPPOLA DEL KILLER DELL’ACIDO
LA FRASE – “Puoi urlare quanto vuoi, tanto non ti sentirà nessuno”
Prima avvertenza: è una “German crime story”. Seconda avvertenza: si tratta di una serie che racconta una storia realmente accaduta. Quanto basta per capire fin dall’inizio che dalla prima all’ultima delle sei puntate, in onda su Prime video, si sta con il fiato sospeso. Così come all’inizio degli Anni ‘90 la popolazione tedesca conobbe e seguì la vicenda su giornali e tv.
La trama. Uno strano caso di sequestro di persona porta la commissaria Nela Langenbeck a indagare, ad Amburgo, su quello che in seguito sarà chiamato il “killer dei bidoni di acido”. Protagonista, un insospettabile commerciante di pellicce che, a causa del crollo delle vendite provocato dalle campagne degli animalisti, comincia a vagheggiare il proprio definitivo trasferimento in Costarica. A corto di soldi, mette a frutto la propria malata fantasia: quel viaggio se lo finanzierà a spese altrui, sequestrando donne e chiedendone il riscatto. Alle vittime, tenute nascoste nel bunker antiatomico costruito sotto la propria abitazione, infliggerà orribili torture prima di ucciderne due, sciogliendone i corpi nell’acido.
Storia efferata, di cui verrà faticosamente a capo la commissaria, superando ogni sorta di ostacoli. Primo fra tutti, l’abilità con cui l’assassino riesce a dissimulare, a nascondere per anni qualsiasi traccia, a intortare tutti grazie a fantasiose storie. Grazie, soprattutto, alla capacità di ammaliare gli interlocutori, dalle vittime ai loro familiari, alla polizia. Pur essendo un soggetto dalle molteplici perversioni, ossessionato dalle donne, Raike Doormann, il protagonista, riesce a passare con tutti come una persona normale, affabile e disponibile. Difficile smascherarlo.
Il racconto ha anche un altro binario, reso benissimo dalla regia di Florian Schwarz. Riguarda il clima culturale che a lungo ha impedito la scoperta dei femminicidi e la condanna dell’assassino. Per dire: l’arrivo di Nela, la prima donna alla sezione Omicidi della polizia, è salutato con un’ostilità che la dice lunga sul grado di intolleranza maschilista di quegli ambienti. “Non so perché è voluta entrare nella squadra omicidi — è il benvenuto del commissario capo — ma se cerca marito è nel posto sbagliato”. Dal primo giorno di lavoro è a lei che verrà chiesto di fare il caffè per tutti. “Fai il caffè” è una delle poche richieste che verranno rivolte alla nuova arrivata, insieme all’invito a non sollevare casi già archiviati. Farà il contrario, naturalmente.
Anche le sequenze girate in ambiente giudiziario confermano la generale tendenza a sminuire le donne. Una vittima del sequestro, liberata da Doormann, viene pubblicamente presa in giro sia da lui, seduto sul banco degli imputati, sia dal suo avvocato. Anche la poliziotta viene trattata brutalmente dal giudice che la interroga. Persino il perito medico che visita la sopravvissuta ha parole agghiaccianti: “È paradossale, ma se fosse stata violentata la sua storia sarebbe più credibile”.
Atrocità di genere si accompagnano a quelle commesse dall’ex pellicciaio. Ma non sono le sole. Un’ambientazione molto accurata rende molto bene gli ambienti piccolo borghesi della Germania di quegli anni. Casette e appartamenti con tappezzerie raccapriccianti, affollati di soprammobili dozzinali, con mobili impreziositi da assurdi disegnetti che ne sottolineano la bassa qualità. Strade poco trafficate delimitate da giardinetti molto curati da cui spuntano i fumi di barbecue grondanti grasso e intrugli agrodolci. Anche l’abbigliamento è adeguato ai tempi e alla latitudine: sontuose pellicce indossate dal sequestratore assassino insieme a camicie sgargiantissime; incommentabili gli stivali indossati sopra i calzoni dall’ostinata investigatrice. Anche questo fa parte, correttamente, dell’horror tedesco.
Raik Doormann è interpretato in modo molto convincente (inquietante ad ogni svolta della sua personalità) da Oliver Masucci. Angelina Häntsch nelle vesti della detective Nela Langenbeck è così perfetta che qualcuno, non a torto, l’ha paragonata a Jodie Foster.