LA MIA PREDILETTA,
GIALLO MOLTO
TEDESCO
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LA FRASE – “Anche una mia amica soffre di depressione. Che malattia del cazzo"
È tutto molto tedesco in questa serie. Nel bene e nel male. La storia è durissima. Tratta da un best seller di Romy Hausmann (Giunti 2020), in realtà è ispirata a un fatto di cronaca. Crudo, atroce quanto può esserlo una vicenda tedesca.
Per stomaci forti, insomma. Appena attutito dalla mano femminile cui si deve la regia, quella di Isabel Kleefeld. Per dire: non ci sono le immagini più raccapriccianti su cui avrebbe indugiato un occhio maschile, ma per il resto c’è tutto, dalle mine che esplodono sotto i piedi delle teste di cuoio, ai numerosi femminicidi, a momenti di suspense, a colpi di scena sapientemente disseminati.
Il colpevole si scoprirà soltanto alla fine della sesta puntata. Prima, nessun indizio.
Il thriller racconta di una donna tenuta sequestrata insieme a due ragazzini, un maschio e una bambina molto scaltra e matura, la vera protagonista della storia. Li tiene prigionieri un uomo, che i due chiamano papà. La donna non è la loro vera madre, anche se ne porta il nome. Il carceriere, che non appare mai, li ha condizionati a forza di regole imposte con la violenza, praticata soprattutto sulla giovane.
Una notte la donna riesce a fuggire, insieme alla piccola Hanna, ma viene investita da un’auto e ridotta in fin di vita. Sarà Hanna a ricostruire la storia e a mettere la polizia in condizioni di scoprire un’oscura storia di sequestri e di delitti.
Il ritmo del racconto non cala mai, anzi. La tensione aumenta con la progressiva introduzione di nuovi personaggi, tutti calati in una dimensione piuttosto cupa e densa di angoscia. L’intera storia è gestita in prevalenza attraverso figure femminili. Da Hanna, la piccola sequestrata, a Lena, quella vera sparita da 13 anni, a quella che ne porta il nome, sottoposta alle angherie del sequestratore. C’è poi una brava e acuta investigatrice, un’infermiera molto materna e sensibile che presterà le prime attenzioni ad Hanna appena recuperata dal nascondiglio in cui era stata segregata.
La trama è talmente avvincente che quasi non ci si accorge se ci sia o no colonna sonora. In ogni caso, il rigore tedesco non affida alle note musicale quello che le parole, o i silenzi, riescono meglio a esprimere.
L’ambientazione è curatissima. Oscura il giusto, ma non lugubre. Aquisgrana, Friburgo e Düsseldorf, i luoghi in cui si sviluppa la vicenda, compaiono, ma non prendono inutilmente la scena come in certe produzioni di casa nostra, dove gli omaggi alle pro loco si sprecano. Insomma, tutto è molto credibile. Persino gli assalti dei soliti agitatissimi cronisti ai poveri comprimari del dramma.
La serie ha esordito all’inizio di settembre, un anno fa. In poco tempo ha conquistato la top ten di Netflix. Per chi l’avesse persa, vale davvero la pena di vederla.