BODKIN,
LA SERIE
DI BARACK
E MICHELLE

di Fabio Zanchi |


SU NETFLIX


LA FRASE – “Se non farai domande, nessuno ti mentirà”



Sono almeno tre i motivi per vedere Bodkin. Tutti buoni. Il primo: la serie è prodotta per Netflix da Barack e Michelle Obama, la supercoppia presidenziale. Il secondo: il linguaggio, molto virato sull’ironia, anche se Bodkin è classificato come “commedia dark”. Terzo: l’ambientazione, in uno degli ultimi lembi della vecchia Irlanda, il Paese “dove piove sempre, anche quando sembra asciutto”. Anche invertendo l’ordine, tutte queste ragioni rimangono valide.



A legare tutto c’è il contrasto tra il giornalismo, quello vero, e il racconto da podcast, quello che puoi ascoltare “mentre stai tornando a casa in auto”. Il primo è interpretato, quasi incarnato da Dove, accanita giornalista di The Guardian. Spedita nel suo paese natale dal suo direttore, per sottrarla a una disavventura professionale per cui rischia la galera, dovrà accompagnare due podcaster nel paesino di Bodkin. Qui dovranno ricostruire una storiaccia accaduta 25 anni prima quando la Festa di Samhein, progenitrice di Halloween, venne interrotta dalla sparizione di tre persone.



Di quella storia gli abitanti di Bodkin, ancorché stranamente avvezzi all’ascolto dei podcast, non vogliono assolutamente parlare. Il clima è di omertà e sospetto verso chiunque venga a curiosare.

I guai cominciano subito. Soprattutto tra i tre. Lei, Dove, fiuta subito che c’è materia per indagare. Lui, il podcaster Gilbert, passa da un’estasiata meraviglia per tutto, persino per il verde-così-verde della natura irlandese, a un atteggiamento recalcitrante e ostile verso la pretesa di approfondimento della giornalista. “Non siamo detective – protesta – Siamo qui soltanto per raccontare una storia”. Come se fosse facile. E infatti non mancano colpi di scena a ripetizione, avvenimenti che ingarbugliano vieppiù il loro soggiorno.



Durante il quale, mentre i due protagonisti baruffano, l’unica a crescere professionalmente e umanamente è Emmy. Partita come ricercatrice/organizzatrice e sherpa di Gilbert, alla fine si rivelerà fondamentale per trarre dagli impicci l’uno e l’altra. La giovane Emmy è anche l’unica a giustificare la seconda voce fra quelle che per Netflix dovrebbero spiegare le caratteristiche della serie: “Violenza, sesso, linguaggio, uso di droga”. Manca “traffico di anguille”, tema che, a sorpresa, fornirà un filone capace di giustificare la presenza di agenti Interpol, contrabbandieri, famiglie rom e vecchi hippie.



Fra le presenze più inquietanti e insieme esilaranti c’è anche una comunità di suore sopravvissute a uno scisma e riciclatesi grazie a pratiche yoga, shiatsu e alchimiste capaci di produrre droghe psichedeliche. Anche loro tenacemente affezionate ai podcast. Contro costoro Dove riuscirà a formulare i giudizi più velenosi. Uno per tutti: “Le suore sono come il vino. Al massimo diventano aceto”.



Ci vorranno ben sette puntate (forse potevano essere asciugate a cinque) per venire a capo di tutto il materiale accumulato. Non mancheranno le sorprese.



Una considerazione la meritano gli attori. Tutti scelti con particolare efficacia. Dove è interpretata da Siobhán Cullen, di origini irlandesi, e si vede. Fare l’antipatica le viene benissimo. I suoi precedenti sono “Obituary” e film horror come “The Insider”.



Will Forte interpreta il podcaster Gilbert con la giusta leggerezza, che poi sconfina in uno sconforto piuttosto credibile quando la realtà lo costringe a riparametrare le proprie convinzioni.

Robin Cara entra in punta di piedi nel personaggio di Emmy, con una metamorfosi degna del Brutto anatroccolo in versione Irish. Più forte degli altri due.



Infine: bellissime le sigle grafiche, una diversa dall’altra, per ogni puntata; ottima la fotografia che mai indugia su primi piani pensosi per dire quel che le parole descrivono meglio. La serie, ideata da Jez Scharf, è diretta da Nash Edgerton.





LA SERIE



Sette puntate da 44 e 56 minuti



PERSONAGGI e INTERPRETI



SIOBHÁN CULLEN è DOVE

WILL FORTE è GILBERT

ROBIN CARA è EMMY

DAVID WILMOT è SEAMUS GALLAGHER

CHRIS WALLEY è SEÁN O’SHEA