RIPLEY

di Fabio Zanchi |


VITE IN BIANCO E NERO


LA FRASE – “I giornalisti non dicono mai la verità”



Il bianco e nero, così bello quand’è bello. Tanto da fare apprezzare un Caravaggio in tutta la sua potenza. Come nelle pagine del vecchio manuale di Giulio Carlo Argan, ai tempi.


Patricia Highsmith, l'ideatrice

Un bianco e nero tanto potente è quello scelto dal settantenne Steven Zaillian (premio Oscar per la sceneggiatura di Schindler’s List) per le otto puntate di “Ripley”, appena uscito su Netflix. La serie è tratta dal romanzo di Patricia Highmith, che nel 1999 ebbe un’edizione cult con Matt Damon, Jude Law e Gwineth Paltrow, seguita più tardi dalle versioni di Wim Wenders e di Liliana Cavani.



La storia è quella di un truffatore, abile nell’assumere identità altrui, che poi si trasforma anche in assassino, altrettanto abile nel sottrarsi alle indagini di polizia. L’inizio è in un tristissimo monolocale di New York, da dove Thomas Ripley gestisce i suoi traffici. Contattato da un investigatore privato che già lo inquadra come “un uomo molto difficile da trovare”, su incarico di un ricco armatore, si sposterà in Italia per cercarne il figlio. Ripley accetterà la proposta, tutto spesato, senza troppi tentennamenti. Il resto della storia si svilupperà in un’Italia di gran fascino, impreziosita dal racconto fotografico di Robert Elswit, guidato da Zaillian attraverso immagini mai banali, che a tratti ricordano la predilezione di Hitchkoch per le inquadrature dall’alto. Certo l’ambientazione aiuta. Si passa dalla Roma notturna, tra Castel Sant’angelo e l’Appia Antica, alla costa amalfitana, con tappe significative a Napoli, Firenze, Palermo e Venezia.



Parte significativa della vicenda si svolge ad Atrani, meraviglioso paesino della Costiera, tutto una scalinata stretta stretta e piena di anfratti. Un’unica piazza (la stessa in cui Denzel Washington ammazzerà un discreto numero di malavitosi, in The equalizer 3, come ricorda Michele Anselmi, che di cinema sa tutto), sulla quale affacciano un bar e un ufficio postale che funziona un po’ da portineria sociale.



La vicenda di questo truffatore che passa da una vita misera, dalle prospettive incerte al contatto con un mondo di ricchezza e privilegi è quasi sommersa dalla bellezza delle immagini. Le tappe attraverso le quali Ripley si trasforma in omicida, con una determinazione pari all’impassibilità del suo volto, sono scandite da continui riferimenti all’arte e alla vicenda di Caravaggio. Si passa da “Le sette opere della Misericordia”, custodito al Pio Monte della Misericordia di Napoli, al “Davide con la testa di Golia” della Galleria Borghese di Roma, alla “Madonna dei palafrenieri” con Gesù bambino che schiaccia la testa del serpente, nella stessa Galleria. La chiave, quasi un’autocitazione del regista, è in una battuta del prete della chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma, rivolta a Ripley incantato davanti alla “Vocazione di San Matteo”: “La luce – gli dirà -. Sempre la luce”.



E la luce, in continuo contrasto con il nero della vicenda, è uno dei temi di questa serie da non perdere. La luce che crea ombre continue, come in Caravaggio. O che offusca la ricerca della verità anche all’ispettore Pietro Ravini, interpretato dal bravissimo Maurizio Lombardi (The young Pope, Il nome della rosa, Pinocchio).



Altro elemento di interesse, la ricostruzione degli ambienti. Accuratissima. Siamo nel 1961 e la colonna sonora è affidata a Mina che canta, a più riprese, “Il cielo in una stanza”. O a Tony Renis con “Quando quando quando” e Rita Pavone con “La partita di pallone” (che però è del gennaio 1962). Anche gli oggetti parlano: c’è un frigorifero Zoppas con il piccolo scomparto per il ghiaccio, per ospitare le vaschette di alluminio che si sbloccavano tirando una leva; il ventilatore Lesa a tre pale; la tenda antimosche all’ingresso del bar fatta con catenelle metalliche. C’è la 500 Fiat del 1957 con le portiere che si aprono controvento. C’è, soprattutto la stilografica Montblanc Meisterstück gold-coated Legrand, su cui Tom Ripley, e i suoi alias successivi, ha messo prima gli occhi, poi le mani, impossessandosene. “Bella penna” gli dicono tutti quelli che gliela vedono usare, per apporre firme vere o contraffatte. (E per forza: quella penna, oggi come oggi, è quotata 735 euro tondi tondi, Ndr).



La scelta degli attori, da parte di Zillian, è stata accuratissima. A partire dal canadese Andrew Scott, che offre la propria impassibilità a rendere credibile ogni sua mossa, anche la più atroce. Poi Dakota Fanning (anche lei in The Equalizer 3), diffidente fino alla fine, nei confronti di Tom. Johnny Flinn, interpreta un annoiato Dickie Greenleaf, cui Ripley ruberà tutto: la vita, l’identità e pure un bel Picasso.



Folta la squadra italiana, da Vittorio Viviani, molto autentico nella parte dell’impiegato delle Poste, a Paolo Maria Scalondro, Renato Salpietro, del cast di “Un posto al sole”, come Germano Bellavia, unanimemente conosciuto come il comandante Guido Del Bue. C’è poi una bravissima Margherita Buy nella parte della portinaia della elegante abitazione romana di Tom Ripley.



Infine, ad arricchire il parterre c’è anche John Malkovich, in un cameo che ha la sua importanza. Lo troviamo a Venezia. Dove arrivò nel gennaio del 2022, appunto per la parte che gli avrebbe affidato Zillian. Raccontano le cronache di quei giorni che, a causa del green pass scaduto, fu respinto dall’hotel Danieli e da altri alberghi veneziani. Per fortuna sua, e nostra, trovò ospitalità in una casa privata.





LA SERIE



8 episodi di un'ora circa



PERSONAGGI e INTERPRETI



Andrew Scott è Tom Ripley

Dakota Fanning è Marge Sherwood

Johnny Flinn è Dickie Greenleaf

Margherita Buy è Signora Buffi

Maurizio Lombardi è Piero Ravini

John Malkovich è Reeves Minot

Germano Bellavia è un ufficiale di polizia