SLOW
HORSES

di Manuela Cassarà |




Mi sbilancio di rado, ma questa serie, da sola, vale la rata. Il Washington Post scrive e traduco “Il thriller famoso per i suoi agenti imperfetti (e talvolta puzzolenti) supera facilmente le sue controparti più patinate”… The Guardian, che non è mai tenero con le sue recensioni, la esalta. E chi siamo noi per non fare altrettanto?

Lamb, Standish, Cartwright e Taverner, ricordatevi questi nomi e in quest’ordine perché nello stesso modo danno, ognuno a suo modo, un gran “perché” alla serie Slow Horses, prodotta dall’anglo–australiana See Saw Film (già vincitrice di un Oscar per The King’s Speech con Colin Firth e del pluripremiato Lion con Nicole Kidman e Dev Patel: quindi, si potrebbe dire: un nome una garanzia) assieme alla Sony Pictures Television, pilastro di svariate produzioni televisive d’oltreoceano.

Basato sulla serie di novelle intitolata Slough Houses di Mick Herron, che racconta di un piccolo nucleo di sfigati agenti, degradati tuttavia non licenziati, del MI5, l’ente di controspionaggio del Regno Unito, da non confondersi con il più famoso MI6, detto anche SIS, Secret Intelligence Service, quello di James Bond per intenderci, che di solito se la vede con i cattivoni globali.

Iniziata nel 2010, la collana di Slow Horses, dopo un’altalena non proprio esaltante a livello di vendite, alla fine del 2022 vantava otto volumi, con i primi tre trasformati nella serie televisiva che andiamo a raccontare. Il che mi tranquillizza. E capirete perché.

I ronzini, dall’inglese slow horses, sono un piccolo gruppo definito di perdenti, uomini, e donne, confinati nel Pantano per aver commesso un solo errore, che era bastato. Il Pantano, letteralmente slough house, è una fatiscente costruzione vittoriana, che la produzione ha collocato all’angolo con Aldersgate Street, nello storico quartiere di Islington. London EC1 e EC2.

Si passa da una stradina laterale, schivando bidoni e puzzolenti sacchi di spazzatura, previo, per entrare, prendere a calci un’arrugginita porta di metallo; cosa che la nostra Catherine Standish fa con rassegnata determinazione ogni mattina. Impersonata da Saskia Reeves, si fa fatica a riconoscere in questa avvizzita e ingrigita creatura con l’aria di una dimessa bibliotecaria l’affascinante biondina della sua gioventù.




Standish, non a caso l’ho messa per seconda, è il mio personaggio preferito, preceduta solo da Jackson Lamb, superbamente interpretato da Gary Oldman al suo più unto e putrido. Non è chiaro, non da subito, come questa dimessa zitella — che sembra avere il solo scopo di trasferire pesanti cartelle d’archivio da una scrivania all’altra e portare tazze di tè con la sollecitudine annoiata di una zia — abbia in realtà diverse frecce nel suo arco. Ma come vedremo, Catherine, che ha un vissuto complesso e doloroso tra cui anche alcolista, all’occasione saprà prendere in mano la situazione, per risolverla decisamente e inaspettatamente.

La sua lealtà a Lamb resisterà alle mefitiche insinuazioni della Taverner; ma come Jackson sia stato determinante nel comune passato, ci verrà rivelato solo nel finale della prima stagione. Il che non comprometterà la di lei lealtà. Oldman, attore che, a seconda del ruolo impersonato, mi trovo ad amare o odiare ma che, da sempre, ho imparato a rispettare, qui da il meglio di sé caratterizzando questo personaggio di ex leggenda dello spionaggio, trangugiatore di whisky a tutte le ore, dai radi e mai lavati capelli che sfiorano la camicia impataccata da rimasugli di cibo cinese; zuppe che consuma con gusto disgustoso, in squallida solitudine, unico commensale in un fatiscente ristorantino.

Sarcastico, tagliente, disilluso da se stesso, dalla vita, dal mestiere e dai suoi sottoposti, quotidianamente non lesina a nessuno i suoi insulti, per primo a River Cartwright, rampollo di buona famiglia, con un nonno, il sempre pregevole Jonathan Pryce al suo più imperscrutabile, ex personaggio di spicco ai vertici dell’MI5, con le mani in pasta in oscure, non necessariamente pregresse, macchinazioni.




Cartwright è interpretato, con un buon mix d’insicurezza, baldanza e prestanza, da Jack Lowden aitante attore scozzese, che abbiamo visto o piuttosto intravisto nel Dunkirk di Christopher Nolan, distratti da ben altro. Confinato al Pantano non per sua colpa, si rivelerà il deux ex machina nella carriera di Diana Taverner, Seconda Scrivania dell’MI5, ambiziosa macchinatrice interpretata da una Kristin Scott Thomas, ex divina ne Il Paziente Inglese e Quattro Matrimoni e un Funerale, qui a prima vista irriconoscibile, se non di profilo e per quei suoi bellissimi occhi affondati nelle enormi orbite.

Però pian piano ci si abitua.

Gelida, senza scrupoli e senza vergogna, detta Lady D da Jackson, l’unico in grado di anticiparne e contrastarne le infide mosse, è una che non si farebbe scrupolo di distruggere e sacrificare lui e il suo team di ronzini, sull’altare della carriera; team che - scopriremo - Lamb protegge come un’amorevole chioccia, da quel burbero di elevati principi che è sotto quella croppa e quella rude scorza.

Non entro nella descrizione degli altri personaggi, che per quanto marginali sono comunque ben caratterizzati, perché la scrittura della sceneggiatura di Will Smith — da non confondersi con l’altro, quello che fa l’attore a Hollywood — è in puro stile british, e perciò divertente e soprattutto intelligente. Ma del resto Smith ha, dalla sua, un passato da premiato stand-up comedian, per cui le battute non mancano e sono godibilissime..

Avendo finito con goduria tutta la Prima Stagione, avendo affrontato con entusiasmo ed essendo a metà della Seconda, avendo letto la superlativa recensione della Terza su The Guardian — che è poi quello che mi ha spinto ad aggiungere Apple TVPlus al mio già ampio parco di network televisivi — posso sbilanciarmi nel dire quanto segue: Guardatela! Ne vale la pena.

Certo il meccanismo è fisso, ma il racconto non delude. La prima, la storia con il titolo che è poi quello della serie, Slow Horses, racconta il rapimento da parte di un gruppo di estrema destra — non aggiungo altro, ma a riguardo ci saranno sorprese — di un ragazzino musulmano, vittima sacrificale di una imminente decapitazione, alla maniera dell’ISIS.

A chi potesse interessare il primo libro di Herron, è stato tradotto con Un Covo di Bastardi.




Segue Dead Lions che inizia con l’infarto di un ex agente su un autobus per Oxford. Lamb non se la beve e fa partire le sue indagini più o meno ortodosse, sguinzagliando Cartwright alla ricerca delle cicale, cellule dormienti infiltrate dal KGB. Ma c’è chi trama nell’ombra per insabbiare il tutto. Non sapendolo, per non aver ancora vista l’ultima puntata, non posso dire come andrà a finire, e comunque non lo avrei fatto per non rovinare la sorpresa.

La Terza e per ora ultima stagione, definita dal Guardian come un cast di “acting royalties”, si basa sul romanzo Real Tigers; la storia di una relazione in quel di Istanbul, nei cui meandri si dipanano i nostri collaudati non-eroi, per salvare Slough House e persino l’intero MI5 da un’ingloriosa e prematura fine. Disponibile su Apple TvPlus, a partire dai primi due episodi, il 29 novembre, gli altri quattro ce li faranno desiderare ogni mercoledì, fino a Natale. Dio come li odio, i pizzichi e bocconi.

Chiudo però con una buona, anzi ottima, notizia, che farà sì che mi toccherà continuare a pagare altre rate mensili prossimo venture, perché è stata confermata la Quarta Stagione!

E sarà basata sul libro Spook Street.

Aggiungo che persino il beneamato, mio compagno di vita, viaggi e sedute sul divano, uno che abitualmente detesta le serie a puntate, ha accettato di buon grado di sborsare ulteriori €9,99 al mese. E questa è un’altra garanzia. Ora, però, devo chiudere per andare in banca. A fare un mutuo. Tutti questi canali TV a pagamento mi stanno costando una cifra. .




LA SERIE
Tre stagioni di sei episodi cadauna, su AppleTv+.



PERSONAGGI PRINCIPALI

Gary Oldman (Jackson Lamb)

Saskia Reeves (Catherine Standish)

Jack Lowden (River Cartwright)

Kristin Scott Thomas(Diana Taverner)

Olivia Cooke (Sid Baker)

Rosalind Eleazar (Louisa Guy)

Jonathan Pryce (David Cartwright)