SUBURRA
ÆTERNA

di Fabio Zanchi |

LA FRASE – «La vita è un mozzico».


suburraeterna

Partenza con il botto per Suburraeterna, la serie che continua Suburra, sempre su Netflix. Detta così è persino riduttivo. Lo si capisce fin dalla prima puntata.

Per dire: entro i primi venti minuti ci sono già quattro morti e uno in coma. Entro il minuto 31, altri cinque morti sparati. Passati dieci minuti, si aggiungono tre morti.

Due, un minuto dopo. Ancora dieci al 43simo. La svolta è al 44esimo, quando la madre capostipite viene accoltellata.

Parte una telefonata per Berlino. Risponde Spadino, che in quella città si è rifugiato per sottrarsi all’altalena sanguinosa della prima serie tratta dal romanzo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo.

Per cambiare vita ha recuperato il suo vero nome: Alberto. Ma l’assassinio della madre Adelaide lo costringe a tornare a Roma. “Sono qui solo per sotterrarla”, dice. Ma si sbaglia di grosso.

Tanto Roma è la città eterna, altrettanto eterna è Suburra. E sempre identici sono i canoni del potere e della corruzione. Protagonisti, la politica, la Chiesa e la malavita. E lo spaccio di droga.


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Come nella serie precedente, Suburraeterna offre un racconto a più piani, a disegnare una realtà con punte assai aspre. Dove anche i rapporti con gli affetti di ognuno dei protagonisti si tingono di colori cupi. In prevalenza, rosso sangue.

Se nella Roma antica per tenere buono il popolo si ricorreva a panem et circenses, nella capitale alle prese con una politica corrotta e con una criminalità assai pervasiva la ricetta si ripropone.

Là dove c’era il Colosseo, qui si racconta del progetto di un nuovo stadio, in grado di sopire le tensioni sociali e gli appetiti tangentari. Il politico emergente, Ercole Bonatesta, è dipinto con colori che richiamano molto l’azzurro berlusconiano, con in più una mano particolarmente pesante sul tasto della spregiudicatezza. Non soltanto per i rapporti con la malavita, ma anche sul piano più banale che porta Bonatesta a organizzare un banchetto popolare con tavole generosamente imbandite con prodotti al limite della scadenza: “Amici fornitori mi hanno regalato tutto, sennò lo buttavano, così non ho sborsato un euro”.


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Gli abissi dell’abiezione non appartengono soltanto alla politica corrotta. Anche Oltretevere non si scherza, anzi. Qui le lotte per approfittare delle ricchezze terrene, ancorché intrecciate con la malavita, si combinano anche con i disegni di eversione ai piani più alti. E il linguaggio è di estrema crudezza. Preciso. Di chirurgica efficacia, come in guerra. D’altra parte proprio di una guerra, per il potere, si tratta. “È arrivato il momento dell’artiglieria pesante – proclama il cardinale Tronto – Pesante ma precisa. Salterà solo il tetto, ma resisteranno le fondamenta”. Fuori di metafora: cambiamo il Papa e ci teniamo la Chiesa con i suoi tesori.

In un quadro del genere (de-genere) la vicenda esistenziale di Spadino assume a tratti una dimensione di dolcezza. Fuggito a Berlino per rifarsi una vita al di fuori degli schemi dell’occhio-per-occhio in voga tra le opposte fazioni criminali, c’era quasi riuscito.

Trovato un sereno rapporto sentimentale con un barbuto partner, si era dedicato alla tecno music. Fino alla telefonata che l’ha riportato a Roma, tirato per i capelli, obbligandolo a immergersi in ripetute sanguinose vendette.

L’epilogo, al termine dell’ottava puntata di questa nuova serie, lascia intendere che la storia non è finita neppure stavolta. Ci sarà dunque un seguito, prima o poi, di questa Suburraeterna.

Come nella serie precedente, Roma è dipinta con tinte fosche, che nulla tolgono alla sua bellezza, soprattutto con le ripetute riprese dall’alto.


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Dal punto di vista della lingua, la resa è tanto accurata da assicurare un ottimo risultato.

Da una parte, si parla il romanì delle famiglie rom, assiepate prima in una ambientazione tardo barocca che richiama da vicino l’opulenza dei Casamonica, poi in un campo rom pieno di roulottes e bidoni usati per falò notturni.

Prevalente, tra Roma e Ostia, il parlato romanesco, che a tratti regala battute da vecchia osteria. Del tipo: “A te, manco san Culo te sarva”. Oppure, detta da Spadino al cardinale Tronto: “Dal Vaticano te ritrovi a Regina Coeli.

Tanto, sempre roba de chiesa è”. L’uso dell’italiano è riservato all’ambiente ecclesiastico: “Il diavolo non può nascondere la coda. Non in eterno”.


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Ogni tanto, forse più che nella serie che l’ha preceduta, in questa non mancano occasioni di sorridere. Tra una vendetta e l’altra.




LA SERIE
Otto episodi da 45 minuti circa.



PERSONAGGI PRINCIPALI

Giacomo Ferrara (Alberto “Spadino” Anacleti)

Filippo Nigro (Amedeo Cinaglia)

Carlotta Antonelli (Angelica Sale)

Federica Sabatini (Nadia Gravone)

Marlon Joubert (Damiano Luciani)

Aliosha Massine (Ercole Bonatesta)

Federigo Ceci (Cardinale Armando Tronto)

Alberto Cracco (Cardinale Fiorenzo Nascari)

Giorgia Spinelli (Miriana Murtas)

Yamina Brirmi (Giulia Luciani)

Morris Sarra (Cesare Luciani)

Gabriele Di Stadio (Victor Anacleti)

Paola Sotgiu (Adelaide Anacleti)