COME CANI E GATTI

In una domenica primaverile di qualche anno fa passeggiavo per le strade di Camogli, in Liguria. Il bel tempo e la prima calura aveva rovesciato per le stradine una gran quantità di folla, e il loro vociferare aveva generato un sottofondo di rumore che negli anfratti delle viuzze veniva amplificato, fino a sembrare un acufene fastidioso.
Forse in attesa di qualcuno, all’angolo di una di queste stradine un signore di mezza età teneva stretto a sé, al guinzaglio, un cane che, dalla distanza a cui mi trovavo, mi aveva incuriosito per il suo portamento. Al garrese poteva essere alto circa 80 centimetri con un pelo di color argento.
Mentre mi avvicinavo per vederlo da vicino il signore, notando la mia intenzione, aveva tirato a sé il cane avvertendomi di non avvicinarmi troppo perché i rumori l’avevano reso parecchio nervoso.
Le zampe lunghe, la coda folta, le orecchie appuntite e il corpo atletico mi ricordavano troppo il lupo. Non il cane lupo, ma il lupo.
“È un lupo cecoslovacco” mi disse anticipando la mia domanda. Come dire “… ora che lo sai, lasciami in pace.”
Quel cane aveva qualcosa di particolare che mi lasciava un po' perplesso: lo sguardo. Uno sguardo che nulla ha in comune con il così detto cane lupo o pastore tedesco. In realtà nulla ha in comune con qualunque cane.
La similitudine fa sì che anche a un non-biologo è palese che i cani nostrani discendano da un antenato comune con il lupo selvatico. Infatti il Canis lupus è senza dubbio l’antenato dei cani domestici. Di tutte le 400 razze oggi ufficialmente riconosciute.
Meno palese e sicuramente meno noto è che la domesticazione del lupo selvatico (e di alcune altre specie di animali e vegetali) rappresenta una fondamentale tappa nello sviluppo del genere umano.
L’Uomo ha ormai sviluppato una innata consapevolezza di superiorità verso le altre specie. Esisteva però un periodo in cui, seppure con un’intelligenza superiore, l’uomo viveva allo stato brado: dormendo in caverne, cacciando con strumenti rudimentali, cibandosi di bacche o frutti trovati al momento.
La sopravvivenza dipendeva fortemente dalla disponibilità di cibo e dalle condizioni climatiche, ma anche dalla capacità di resistere alle aggressioni di altri animali (tra cui altri uomini) anch’essi alla ricerca di nutrimento.
La continua ricerca di cibo rende gli animali nomadi e, d’altro canto, la sua disponibilità invece li rende più stanziali.
Una regione non lontana del pianeta, tra il fiume Tigri ed Eufrate (oggi l’Iraq), è considerata una delle “culle della civiltà.” Nota anche come Fertile Crescent o Mezzaluna fertile questa regione era molto diversa dalle condizioni attuali di aridità. Pare invece, dai ritrovamenti archeologici, che fosse molto ricca sia di vegetazione che di specie animali. Quindi una vasta area con disponibilità di cibo che rendeva meno necessario migrare in continuazione.
L’Uomo così “mise su casa” e conseguentemente “mise su famiglia!” (Oppure il contrario?)
Fatto sta che il modus vivendi cambiò radicalmente. Siamo a circa 14-15.000 anni fa in pieno Neolitico.
Si iniziò a coltivare e ad immagazzinare cibo (cereali, grani e frutti) e a compiere i primi (inconsapevoli) passi di studi di genetica mediante la domesticazione iniziale prima in agricoltura e poi animale.
In altre parole, la passeggiata che oggi facciamo col cane, è iniziata 15.000 anni fa.
Vediamo come.
La domesticazione (non è proprio parlare di addomesticazione sebbene il termine venga comunemente usato) è un processo alquanto complicato e richiede molto tempo. Non stiamo parlando né di addestramento, né di qualche decennio.
La domesticazione è un processo che trasforma una specie selvatica, animale o vegetale che sia, in una specie che l’uomo controlla e che è stata resa compatibile con l’uomo. La domesticazione ha portato a modifiche comportamentali, fisiologiche e biologiche permanenti tali da creare nuove specie.
La presenza stabile di accampamenti umani ha sicuramente rappresentato un disturbo per quegli animali abituati invece a girovagare liberamente. Incuriositi dai rumori, dagli odori e dalla sola presenza di estranei gli animali si saranno abituati a non temere di avvicinarsi più del solito. Magari rovistando tra i rifiuti dei nutrimenti (ossa, bucce e altri avanzi) è probabile che l’animale selvatico abbia collegato la presenza umana alla disponibilità di cibo, rafforzando e diffondendo tra i simili un comportamento di dipendenza. Qualche esemplare meno timoroso potrebbe essersi avvicinato al punto da farsi toccare.
Questo processo ha dato inizio agli allevamenti di animali, selezionati per un fine preciso. Bovini, equini, ovini e suini risultavano utili per l’uomo fornendo cibo (carne e latte), vestiario (lana e pelli) o alleggerendo mansioni di lavoro (trasporto o traino).
Similmente, i primi agricoltori hanno scoperto la coltivazione mediante semina di cereali e grani per caratteristiche precise. Ne è seguita la preferenza di certi terreni e tecniche di irrigazione, di raccolta e immagazzinamento. (il grano è tra le prime forme vegetali ad essere stato domesticato).
Ovviamente, senza manuali o teorie dimostrate, l’umanità ha proseguito mediante sperimentazioni, ad esempio innestando specie diverse con l’obiettivo di ottenere progenie con le caratteristiche volute.
È molto probabile che alcuni esemplari di lupi si siano abituati alla presenza umana, mostrando caratteristiche di minore aggressività. La prole (generata naturalmente o sotto il controllo dell’uomo), imitando comportamenti tolleranti degli adulti, ha tramandato nel tempo modificazioni genetiche che hanno di fatto reso il lupo “amico dell’Uomo.”
La domesticazione è quindi un processo biologico. Là dove non avviene alcuna variazione sul piano genetico, l’animale rimane selvatico.
Per questo vi è una grande differenza tra un animale selvatico, uno domato e uno addomesticato.
I social media ci presentano infiniti filmati di individui che giocano con animali selvatici di ogni genere. Nelle riserve africane è facile che i curatori siano costretti ad allevare cuccioli di tigri o leoni che hanno perso la genitrice abbattuta da bracconieri o deceduta per cause naturali. Questi poi sostituendo il curatore con la madre assumono comportamenti di tolleranza e accettazione nei suoi confronti, rendendoli simili nei comportamenti al gatto domestico a cui siamo abituati.
In questo caso siamo lontani da un animale domesticato. Semmai, si tratta di un animale domato ma non addomesticato. I grandi felini sono e restano animali selvatici e per questo devono essere trattati e considerati come tali.
Non a caso nei suddetti filmati il curatore non abbassa mai la guardia e non dà mai alcunché per scontato.
Esattamente come ha fatto il padrone del lupo cecoslovacco che incontrai quella domenica a Camogli.
Infatti, la diffusione di questa razza segue l’irrazionale desiderio di possedere un animale esclusivo e non certamente un bisogno di essere accompagnato da un animale domestico con caratteristiche utili (ad esempio accompagnatori per non vedenti o come aiutante psicologico).
Il Lupo ceco nasce come esperimento negli ‘80 per fornire all’esercito un aiutante che avesse la forza di un lupo selvatico ma il carattere del cane lupo (pastore tedesco). Già dall' ‘800, simili esperimenti di incrocio tra lupi e altre razze addomesticate hanno dato origine a diverse razze ibride.
La moda ha portato invece a preferire il lupo ceco come cane domestico soprattutto per la particolarità del pelo e delle sue sembianze decisamente selvatiche, che lo rendono quasi un lupo da salotto.
Se però la domesticazione è un processo biologico complesso, il semplice incrocio seppure controllato tra un pastore tedesco e un lupo selvatico salta numerosi passaggi che in natura rendono vincente una specie. Con la forzatura antropica si influenza lo sviluppo genetico naturale, e non è un caso che questi cani abbiano un temperamento meno prevedibile e una minore resistenza a certe malattie causata proprio da una selezione artificiale.
Rappresentano inoltre un serio rischio per la conservazione del lupo stesso. Se vengono abbandonati o fuggono in natura, è facile, vista la loro somiglianza, che si accoppino con lupi selvatici, rendendo ibrida la specie originaria e di conseguenza mettendo a repentaglio il patrimonio genetico “naturale” del lupo.
Insomma, un disastro.
Per l’altro amico dell’uomo, il gatto domestico, è probabile che le cose siano andata diversamente.
Il gatto è un animale solitario che difende il proprio territorio, rendendolo più attaccato ai luoghi che non alle persone. Per questo è poco probabile che i primi agricoltori abbiano scelto il gatto selvatico come animale domestico. Molto probabilmente, il gatto selvatico si è gradualmente abituato alla presenza umana e molto semplicemente si è adeguato.
In altri termini, mentre alcuni animali, come per i cani, è stata effettuata una selezione artificiale, per il gatto la selezione è stata invece naturale. Infatti, il patrimonio genetico del gatto domestico non mostra alcuna diversità rispetto alle cinque sottospecie di gatto selvatico, rappresentando invece una sesta sottospecie.
Sul piano geografico la presenza del gatto selvatico è diffusa un po' ovunque, ed ognuna delle sottospecie di Felis silvestris ha caratteristiche tipiche di una regione del pianeta: il silvestris silvestris in Europa, silvestris cafra in Sud Africa, silvestris ornata in Asia Centrale, silvestris lybica in Medio Oriente, silvestris bieti in Cina. Il nostro gatto domestico, Felis silvestris catus, ha invece una distribuzione globale e ha maggiori affinità genetiche con la sottospecie lybica.
Questo sembra essere la conseguenza dello sviluppo della regione definita “culla della civiltà” tra il Tigri e l’Eufrate e la presenza diffusa ha seguito il diffondersi degli insediamenti umani in ogni dove. L’incontro quindi tra le diverse sottospecie ha custodito quel comune patrimonio genetico.
La domesticazione del gatto, come negli altri casi, va indietro nel tempo di circa 13-14.000 anni. E’ molto probabile che si sia facilitata la riproduzione di esemplari dai comportamenti più sociali. Tra gli animali domesticati, il gatto è l’unico ad essere sociale in ambiente domestico ma solitario nel mondo selvatico, essendo l’animale ferale capace di procurarsi cibo senza l’assistenza umana.
Il micio che oggi accarezziamo è il frutto di una passeggiata evolutiva dei felini iniziata in un mondo privo di persone circa 11 milioni di anni fa e di una selezione naturale iniziata circa 13-14.000 anni fa in un mondo dominato dalla specie umana .
Non a caso oggi vi sono gatti dal pelo lungo, pelo corto, senza pelo, gatti nani, gatti giganti e così via. Persino gatti al guinzaglio.
Non vi è dubbio alcuno che il percorso di sviluppo seguito dalla specie umana abbia dell’incredibile e meraviglioso. Nessuna altra specie presente sul pianeta ha raggiunto traguardi simili.
La domesticazione è forse il fenomeno più antico che dimostra la volontà e capacità dell’uomo di assoggettare la natura a propri bisogni.
Se da un lato questa capacità offre vantaggi oggi irrinunciabili, dall’altro segna una forzatura nel processo evolutivo naturale le cui conseguenze non sono sempre e appieno prevedibili nell’immediato.
Ho un’amica che ha cresciuto per circa 8 anni un lupo ceco che ha avuto sin da cucciolo. Parlava della sua affettuosità e bellezza neanche fosse il suo bimbo.
Ha smesso di parlarne da quando durante un violento temporale con tuoni, lampi e fulmini il cane le si è gettato addosso procurandole ferite che hanno richiesto decine e decine di punti di sutura in volto.
Anche il fratello, a cui ha spezzato un braccio, non ne parla più.
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