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UN GIORNO
A MADRID
GLI SFRATTI
E LA MISERIA

di ANDREA ALOI

“Verguenza, verguenza”. E cos’altro può gridare Azucena, madre sfrattata con bimbetto a carico in faccia ai poliziotti in tenuta antisommossa venuti a sloggiarla? “Vergogna” urla il gruppo di attivisti, l’hanno promesso ad Azucena e sono arrivati a sostenerla, si oppongono, mani alzate, all’ennesimo dramma. Barrio di Orcasitas, a sud di Madrid, i grattacieli e i bei viali sono laggiù, qui nell’ultraperiferia dell’ex quartiere operaio immigrati e poveri e sfortunati si sfangano una mala vita tra lavori sottopagati, mense sociali, borse della spesa offerte da chi conosce e capisce. Spesso hanno paura di ricevere il fatidico foglio con su scritto “orden de desahucio”, ordine di sfratto. Decine e decine tutti i giorni, 400.000 in dieci anni nella civilissima Spagna.



“Tutto in un giorno”, prima regia dell’attore argentino Juan Diego Botto, è un lavoro d’impianto crudamente sociale che la quasi cinquantenne Penélope Cruz - è lei Azucena - ha voluto, contribuito a produrre ed esaltato con un’interpretazione potente, di pura dolente passione. Qualcuno l’ha paragonata alla Magnani, le avrà fatto piacere, ma perché mai? Lei è Penélope e basta e avanza. Alla sua prima regia Botto - nel film è Manuel, il marito, piuttosto in disarmo, di Azucena - convince ben oltre la sufficienza e non demerita pure come sceneggiatore, ben assistito da Olga Rodríguez, figura di primo piano nel giornalismo d’inchiesta iberico.



In “Tutto in un giorno” (titolo originale “En los márgenes”, Ai margini) le storie di tre donne corrono a perdifiato dall’alba al tramonto, si intersecano e si sciolgono una nell’altra, la cinepresa le insegue, narra per “documentare”, impossibile non pensare a Ken Loach anche per la durezza di certi primi piani e i dialoghi esasperati dalle spine quotidiane. Sono centocinque minuti di storie ansiogene cucite assieme dall’ancor più trafelato Rafael (uno strepitoso Luis Tosar), avvocato “di strada” impegnato a contrastare gli sfratti e talmente coinvolto da dimenticare la famiglia. Dovrebbe portare il figlio adolescente Raúl (Christian Checa: ha presenza e sfumature) a scuola, il bus sta partendo per una gita molto attesa ma Rafael non arriva in tempo, è distratto da telefonate e poi c’è da recuperare una bombola di gas per una famiglia povera; nel pomeriggio dovrebbe far atto di presenza durante l’amniocentesi della compagna Helena (Aixa Villagrán), si presenta alla clinica fuori tempo massimo, minando un rapporto già abbastanza logoro. Rafael sente sulle spalle la sofferenza del mondo, è andato in burnout, è cotto. E davvero in quel giorno accade di tutto.



Sono ore-capestro. Azucena lavora in un supermercato, occhio a rifiutare un cambio di turno, si rischia il licenziamento, il piccolo Diego non parla, da giorni vede la mamma in ambasce e il giorno dello sfratto è arrivato. Teodora (Adelfa Calvo) è avanti con gli anni, il figlio Germán (Font García) le ha chiesto di garantire per un finanziamento, però ha perso tutto e lavora a chiamata come muratore per quattro euro all’ora: così, anche su Teodora aleggia e infine piomba lo sfratto esecutivo, le banche chiedono una garanzia solo sul venti per cento del capitale ma nei fatti si rivalgono sui beni fino al totale del prestito, anche Azucena va in banca e implora, inutilmente. L’immigrata Selma (Salma Naim Annaassi) lavora in nero, fa le pulizie di giorno in un money transfer e di sera in un bieco locale di lap dance, ha una figlia di sette-otto anni bella sveglia che va a scuola ed è abituata a passare ore e ore da sola e proprio per questo rischia di perderla, potrebbero affidarla ai servizi sociali. Hanno tentato senza esito di rintracciare Selma, la polizia è andata a cercarla a casa e ha trovato la piccola, lei balbetta alle domande “dov’è tua madre’” “da quanto non la vedi?”. La portano via, è una bambina ed è disperata, la macchina che potrebbe condurla in un istituto è avviata, a meno che Selma non si faccia viva entro la mezzanotte.



Qualcosa, al termine delle corse per Madrid di Rafael in cerca di questa madre “fantasma” si aggiusterà, molto resterà sospeso, ci saranno abbracci, lutti. “Tutto in un giorno” è un lodevole esempio di cinema del reale, però non andrebbe a segno se attorno all’impegno e all’idea di dar luce a un fenomeno devastante, quello degli sfratti a pioggia, non girasse un film che è una piccola impresa piena d’entusiamo, scritto bene, con un cast plausibile, un bel montaggio, il giusto ritmo, pause (pochissime) e accelerazioni, con una convincente evoluzione emotiva nei personaggi. Molto forte la resa dei conti tra un disilluso Manuel, marito che va e viene, tramortito da lavoracci sottopagati e fallimenti vari e Azucena, lucidamente incattivita e pronta a rinfacciargli recriminazioni e latitanze mentre lei teneva il timone di casa e famiglia, con la normale forza sovrumana di una donna ferita però non demolita dalla vita. Stavolta ci va vicino, traballa, il calore solidale di chi si oppone alla marea degli sfratti le darà nuovo vigore, Azucena troverà il fiato e la rabbia per gridare di nuovo e sempre “Verguenza”.



Nel suo vorticoso viaggio al termine del giorno, Rafael ha vicino Raúl, dapprima irritato per l’atteggiamento del padre, tanto che si presenta come figliastro (qual è) per tutto il film, tiene un atteggiamento di sufficienza ma impara ad apprezzarne la sete di giustizia, lo sbattimento altruistico. Il loro viaggio, una sorta di urbano buddy movie generazionale, si concluderà a notte davanti alla porta di casa: Rafael è stato cacciato da Helena, Raúl spalma un po’ di miele, con sincerità: “Ho detto alla mamma che sei un grand’uomo”. Naturalmente le cose non sono così semplici, ciascuno può farsi un’idea e “soppesare” Rafael, difficile comunque arrivare a una condanna o ad un’assoluzione piena. Un plus del film, che per il resto non lascia alcun dubbio su da che parte stare.



Oltre a una affinità con la cinematografia di Loach nella fotografia secca delle severe problematiche sociali cresciute con la globalizzazione e l’erosione del potere contrattuale dei lavoratori, l’Azucena di “Tutto in un giorno” è legata per un tema narrativo e non solo a “Due giorni, una notte” (2014) dei fratelli Dardenne, con l’operaia Sandra (Marion Cotillard) in corsa contro il tempo per salvarsi il posto, battaglia persa a metà e finale crescita di consapevolezza e dignità. Penélope Cruz, già protagonista-produttrice nel drammatico “Ma Ma-Tutto andrà bene” (2015) sempre con Luis Tosar, raggiunto lo status di divissima planetaria si è presa il gusto di alternare film spettacolar-alimentari (relativamente pochi, come “I pirati dei Caraibi - Oltre i confini del mare”) al cinema d’autore, vedi, per stare alle prove recenti, il singolare noir “Tutti lo sanno” (2018) diretto e scritto dall'iraniano Asghar Farhadi e “Madres paralelas” (2021) del suo cruciale mentore artistico, Pedro Almodóvar. Raro che sbagli un colpo, chapeau. “Tutto in un giorno” è distribuito da Bim in 56 sale.



 

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