5 GIUGNO 2023


AZZURRITE DI NAPOLI
QUELLA FESTA
CHE NON VUOL FINIRE



di TINA PANE



Verso mezzanotte ha iniziato a piovere, ma poco poco, come per dare il tempo a tutti di rientrare a casa.

Il cielo si era trattenuto varie volte, nel corso della giornata, ma a quel punto la festa era davvero finita, e ora poteva lasciare che le nuvole si liberassero anche loro della tensione. Quasi come in un trattenuto pianto di gioia dopo l’esaltazione di urla, cori e trombette spaccaorecchie, quasi per dire “Jamme, guagliù, turnate a casa, ‘o core è chino” (Forza ragazzi, tornate a casa, il cuore è colmo).



La città mondo, come qualcuno l’ha definita, domenica 4 giugno ha festeggiato sé stessa riversandosi per strada ancora una volta, come aveva già fatto nella disillusa domenica 28 aprile (festa rimandata a causa del pareggio con la Salernitana) e poi nella notte di giovedì 4 maggio (dopo che il pareggio, questa volta sufficiente, con l’Udinese aveva dato la matematica certezza dello scudetto).



Ora, non vi immaginate che nel corso di quest’ultimo mese i napoletani non siano andati a lavorare e abbiano passato le giornate a suonare le tammorre e i putipù agli angoli delle strade. No, ovviamente non è andata così, ma il festeggiamento c’è stato in ogni momento, a ogni incontro e commento di persona e sui social, sui posti di lavoro, nei bar e nelle case, e neppure il dibattito sul futuro dell’allenatore Spalletti è riuscito a guastare l’atmosfera.



Una specie di grosso grasso matrimonio greco, noi che dei Greci abbiamo un po’ di sangue nelle vene, un prolungato stato di grazia e di esaltazione, una ritrovata unità di intenti tra cittadini di ogni estrazione sociale, mentre ovunque – e sottolineo ovunque: scuole, ospedali, negozi e bancarelle, centri sportivi, mezzi pubblici e privati, balconi, facciate di edifici, etc etc - sventolava almeno una bandiera o uno striscione azzurro.



Da questa azzurrite sono stati contagiati anche i tantissimi turisti che onorano la città in questi ultimi mesi, mostrando incredulità e meraviglia per tutti quegli addobbi e quel clima di festa, e contribuendo al florido mercato delle magliette, dei cappellini, delle sciarpe e di tutti i gadget veri e pezzotti che sono stati immessi sul mercato.



Hanno desiderato anche loro di tingersi d’azzurro, mischiarsi ai nativi, sciamare per le strade consapevoli di essere capitati a Napoli in un momento particolare e irripetibile. Si sono voluti mischiare, essere parte di quella “malatia”.



Naturalmente, e meno male!, ci sono state le voci fuori dal coro. Analisti di mestiere o da divano che hanno criticato l’eccesso di festeggiamenti e sottolineato che il calcio è l’oppio dei popoli. La città, hanno osservato questi, è un coacervo di annosi problemi irrisolti (o irrisolvibili) e non sarà questo scudetto a decretarne il riscatto.



Ma appunto non è questione di riscatto, piuttosto di gioia. Gioia di vedere realizzato un sogno condiviso e inseguito per più di 30 anni.



Gioia di appartenere a una città che pur continuando ad avere i suoi lati oscuri non è più solo Gomorra per i media e l’opinione pubblica. Gioia di avere inventato, in un processo spontaneo ma magicamente coordinato, un format nuovo del fare festa che pur senza brevetto farà scuola.



Gioia per aver visto le piazze di mezzo mondo riempirsi di presenze e di cori napoletani. C’è una sorta di “sentimento Napoli” che si è diffuso in questi mesi, che ha superato i confini della città, che ha detto di noi come popolo, come entità riconoscibile anche al di fuori dell’Italia. Un’entità fatta non solo di tifosi della curva B, ma di persone normali, famiglie, giovani e anziani, abbienti e meno abbienti, che nel pomeriggio dell’ultima giornata di campionato ha sciamato allegra e composta per raggiungere il Plebiscito, e quando non ha trovato posto per tutti, pazienza, si è cercata un’altra piazza, un altro vicolo, un altro marciapiede per fare festa.



Poi certo la città è veramente difficile da vivere per i residenti, e ci mette alla prova ogni giorno. Ma proprio per questo è giusto gioire, perché non è che se tratteniamo la gioia la metro arriva puntuale, le strade vengono spazzate quotidianamente e quelli che vanno in tre sul motorino infilano il casco e si fermano alle strisce.

Piuttosto, forse, chissà, chi può dirlo, incrociamo le dita… proprio dall’aver assaporato questa gioia potrà nascere anche civiltà e riscatto.






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