24 MARZO 2023


CENERENTOLA MONS
SCRIGNI D'ARTE
SU UN PASSATO
DI MINIERE

di GIULIA GIGANTE



Ingiustamente Cenerentola tra le città d’arte del Belgio, Mons non è la prima meta che viene in mente quando si decide di esplorare il paese. Per noi italiani si tratta poi di una località che ricorda un triste passato di emigrazione dovuta alla miseria più nera. Negli anni del dopoguerra approdarono nella regione carbonifera del Borinage (di cui Mons è il centro principale) migliaia di lavoratori italiani abbagliati dal miraggio di una vita migliore – spesso semplicemente dal desiderio di sfamare se stessi e le proprie famiglie – e si scontrarono con una realtà ben diversa da quella loro prospettata.


(Nella Art street)


Il “patto scellerato”, firmato da Alcide De Gasperi nel 1946, prevedeva un cinico scambio braccia-carbone, vale a dire l’invio a scaglioni di una nutrita forza lavoro (per un totale di ben cinquantamila operai) da mandare nelle miniere in cui i belgi si rifiutavano di scendere e dove, fino a quel momento, erano stati impiegati i prigionieri di guerra tedeschi, in cambio di tonnellate di carbone vendute all’Italia a basso costo.


(La Cattedrale)


Il patto era scellerato perché ingannevole: invece delle condizioni favorevoli che erano state loro promesse, gli italiani trovavano ad accoglierli solo miserabili baracche in legno e lamiera, condizioni di lavoro disumane e un’assenza totale di diritti per gli improvvisati minatori. Inoltre, erano in un certo senso prigionieri perché non potevano lasciare le miniere prima di cinque anni, pena la detenzione. Fu così che all’inizio degli anni ’60 gli italiani costituivano quasi la metà degli abitanti totali del Belgio. Alcuni sono poi tornati in patria e tanti altri sono rimasti integrandosi un po’ alla volta nella vita belga dedicandosi alla ristorazione, ai lavori edilizi, ma anche costruendosi brillanti carriere (basti pensare, per non citarne che alcuni, al cantante Salvatore Adamo e all’attuale ministro Elio Di Rupo).


(Panorama dal Beffroi)


L’attuale città di Mons, che l’anno scorso è stata anche capitale europea della cultura, merita una visita non solo per seguire le tracce dei nostri compatrioti e del duro passato minerario, ma anche per una serie di capolavori architettonici e curiosità culturali, tra cui un percorso Art street che si snoda tra le stradine della città vecchia.


(Scultura in piazza: Lucie et les papillons)


In pieno centro storico, a due passi dalla Grand Place dove troneggia l’Hotel de ville (il Municipio) con una nicchia che ospita la statua di una scimmia (la cui testa va accarezzata rigorosamente con la mano sinistra per garantirsi un futuro felice), si trova il Beffroi, patrimonio mondiale dell’UNESCO, unico campanile barocco del Belgio con un meccanismo à la Hugo Cabret a vista ed enormi campane che offrono ogni quarto d’ora un concerto di carillon che riprende a rotazione melodie tipiche della regione. Dall’alto del campanile si gode un panorama stupendo sui tetti della città e sulla cattedrale.


(Il carro d'oro di santa Valdetrude)


La cattedrale è dedicata a santa Valdetrude (Waudru), le cui reliquie vengono portate in processione per la città ogni anno in occasione della festa della Trinità (la festa della Ducasse di Mons, patrimonio immateriale dell’UNESCO) in un fastoso carro d’oro. A trainare il prezioso carico in giro per la città provvedono dei cavalli, ma la tradizione prevede che al rientro nella cattedrale il pesante carro debba essere portato su per la scalinata a braccia e con un unico rapido slancio (da effettuare in non più di una ventina di secondi), altrimenti, una serie di calamità si abbatterà sulla popolazione. Si tratta di una tradizione così importante per la città che ad essa è dedicato addirittura un museo (il Musée du Doudou). Secondo la leggenda, però, Valdetrude non era uno stinco di santa (è il caso di dirlo) perché la notte si incontrava con il suo amante Ghislain (santo anche lui) grazie a un provvidenziale passaggio sotterraneo.


(Ingranaggi dell'orologio del Beffroi)


La cosa più bella di Mons è un’altra: la maison Losseau, uno degli edifici più belli in stile Art Nouveau del Belgio, frutto del progetto di Léon Losseau (1869-1949), un nobile illuminato, giurista e bibliofilo nonché pioniere della fotografia, il cui motto era: “La felicità è la libertà”. Nell’intento di realizzare una “casa ideale”, raffinata e moderna al tempo stesso, si rivolse ai migliori architetti del tempo (Paul Saintenoy, Henri Sauvage e Charles Sarrazin) perché realizzassero per lui non un edificio di rappresentanza, ma una casa accogliente per sé e per i suoi amici e visitatori. Tutto è stupefacente e curato fin nei minimi dettagli: le splendide decorazioni floreali, gli intarsi, le vetrate, i mosaici, le lampade, i mobili.


(Nella maison Losseau)


La nostra giornata a Mons termina con una scoperta fatta per caso. Nel tornare ai prefabbricati in lamiera che fungono da stazione in attesa che l’avveniristico nuovo edificio ferroviario progettato da Calatrava sia terminato, ci imbattiamo in un bizzarro museo privato dedicato a un’incredibile raccolta di orologi di epoca napoleonica. Oltre all’impressionante collezione di orologi sono esposti numerosi altri oggetti preziosi (argenterie, porcellane, biscuit) raccolti dal barone e dalla baronessa Duesberg. Alcuni pezzi sono davvero originali e di fattura raffinata, altri rasentano il kitsch, ma l’accumulazione e sovrapposizione dei reperti provoca un effetto un po’ grottesco, enfatizzato dalla presenza e dalle osservazioni del barone in persona che, ormai vedovo, troneggia alla cassa. In ogni caso, è un museo sui generis, una curiosità da non perdere assolutamente.


(Nel museo Duesberg)


Per concludere, vorrei ricordare un fatto, talmente assurdo da sembrare un aneddoto, ma che è realmente accaduto ed è emblematico del surreale quotidiano belga. Com’è noto, il paese è bilingue e quindi ogni città ha un doppio nome e nelle autostrade le indicazioni di località sono nell’una o nell’altra lingua, a seconda della zona – francofona o neerlandofona – che si sta attraversando. A complicare le cose, di solito, le zone linguisticamente diverse si alternano più volte nel corso dei tragitti stradali. Per questo motivo, in un’epoca non remota in cui non c’erano ancora i telefonini né i navigatori, un camionista italiano che si occupava del trasloco di una famiglia italiana a Mons non è mai giunto a destinazione ed è tornato indietro. Come poteva sapere che per arrivare a Mons in alcuni tratti il cartello da seguire era quello con la scritta Bergen?






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