16 LUGLIO 2023



CALANCHI DI ATRI
UNGHIATE DEL DIAVOLO
SUI COLLI ABRUZZESI



UNA INTERVISTA
di GABRIELLA DI LELLIO


In Abruzzo la bellezza della montagna non manca; tre parchi nazionali e un parco regionale coprono un terzo del territorio. Ma anche la zona collinare non scherza. Basta spostarsi un po' verso il mare. Sul tratto di costa adriatica, a 50 chilometri dal Gran Sasso e a 20 da Pescara, si trova il comprensorio delle Terre del Cerrano: quattro comuni (Atri, Pineto, Roseto e Silvi) su una superficie di 230 Kmq, che dal mare salgono fino a poco più di 400 metri. Sono le colline di Atri (Teramo) a offrire un paesaggio particolare: i Calanchi, vere e proprie sculture naturali, anche detti “Bolge dantesche” o “Unghiate del Diavolo” o in vernacolo “li Ripe”.



Nel 1995 nasce la Riserva Naturale Regionale Calanchi di Atri e nel 1999 diventa Oasi del WWF. Già Sito di Interesse Comunitario (SIC), dal 2010 è stata inserita nell’Inventario Nazionale dei Geositi dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) del Ministero dell’Ambiente. Poco più di 600 ettari tra il fondovalle del Torrente Piomba e il Colle della Giustizia (468 mt). Si può visitare liberamente attraverso un percorso ad anello.

“Non ci sono sentieri per due motivi” - spiega Adriano De Ascentiis, il Direttore della Riserva Naturale Regionale dei Calanchi di Atri -. “Il primo è che sarebbero cancellati dalla pioggia; l’altra ragione è la tutela della fauna selvatica che in estate si rifugia dentro le vallecole, l’unico posto in cui c’è acqua. L'itinerario esistente è lungo poco più di 2 km; si può percorrere a piedi, a cavallo o in bicicletta. Lungo la strada ci sono 11 pannelli, ciascuno con il simbolo della riserva. Sono un’audioguida. Basta scaricare l’applicazione gratuita Picus (o anche tramite QR code sui pannelli esplicativi), attivare il bluetooth e dal primo pannello si attiva. Il sentiero inizia dal Centro Visite, scende per la strada San Paolo, verso il fondovalle del torrente Piomba, e risale in senso inverso. Le pochissime auto che transitano sono dei residenti; nella Riserva vivono 16 nuclei familiari”. Le soste sono necessarie per ammirare più da vicino la bellezza di queste formazioni. Si può fotografare, ma non con i droni.



È possibile scendere tra i calanchi?

“Non si può scendere, è pericoloso. Un paio di volte mi è capitato di recuperare ragazzi rimasti a cavalcioni sulle guglie. Erano andati da soli e non sapevano come proseguire. Nella risalita è facile perdere l’orientamento, uscire da un’altra parte e andare in panico. La disposizione dei calanchi può confondere. Al di là di ogni schiena d’asino c’è un canalone che porta a un sistema di calanchi disposti ad anfiteatro. Per schiena d’asino si intende un tipo di collina allungata in direzione del movimento di un ghiacciaio, con l'estremità più ripida rivolta a monte (la piccola cresta di un colle). Quello che si vede è la storia geologica di 2,5 milioni di anni fa.”

Qual è stato il periodo di formazione dei calanchi?

“Il periodo plio-pleistocenico. Questo paesaggio è quel che resta di vecchi fondali marini, quando è emerso il Gran Sasso e tutta la catena appenninica. Da allora hanno iniziato a sedimentare le rocce e poi, man mano che ci si allontana dalla costa, le sabbie, i limi e le argille. Qui, che siamo abbastanza lontani dal mare, i limi si sono trasformati in argilla.



Quali fattori hanno contribuito alla formazione dei calanchi abruzzesi?

“I calanchi sono la conseguenza di millenni di sfruttamento del suolo. In quest’area le risorse naturali hanno manifestato la loro fragilità rispetto alla crescita demografica, dando origine al deterioramento ambientale. I primi furono gli antichi Romani. Scavarono cave per l’estrazione dell’argilla necessaria alla creazione delle anfore Adrianeae per trasportare il vino. Nei secoli a seguire, la regolamentazione della Doganella d’Abruzzo (la transumanza verticale) ha contribuito molto alla modifica del territorio. Per otto mesi l’anno si destinavano a pascolo i suoli migliori, impedendo ai proprietari terrieri di coltivare e di piantare frutteti. Qui pascolavano 60/70.000 pecore. Né di minor impatto è stata la deforestazione prolungata, dal ‘500 fino all’inizio del ‘900. Le radici degli alberi avrebbero contenuto la lisciviazione del suolo (l’infiltrazione delle sostanze organiche ed i sali minerali solubili dagli strati superficiali del suolo verso quelli più profondi, per effetto della percolazione delle acque piovane). Di conseguenza la superficie coltivabile è scivolata a valle lasciando a nudo le argille. Quando piove, le argille diventano modellabili per poi screpolarsi e indurirsi quando si asciugano. Alla pioggia successiva tutto il materiale incoerente scivola a valle creando colate di fango che arrivano fino al mare e alla foce dei fiumi. Il modellamento delle guglie dei Calanchi è dovuto all’alternanza di pioggia e sole.”



“Infatti i più caratteristici sono esposti a sud, sud-ovest, dove c’è maggiore insolazione e la terra si secca più velocemente. Ce ne sono anche sui versanti a nord, ma meno accentuati e molto inerbiti.”


(Calanchi esposti a nord con più vegetazione)


“Oltre alle forme classiche di creste aguzze e solchi profondi, come cattedrali di argilla, ci sono le piramidi di terra. Rocce più dure poste come un cappello su quelle argillose, impedendo all’acqua di incidere sulla sommità e di lavorare l’argilla sottostante.”

Ce ne sono altri in Italia?

“In Italia si trovano in tutto il tratto appenninico, dall'Emilia Romagna alla Sicilia. In Emilia Romagna li chiamano gessi (Parco Regionale dei Gessi Bolognesi e dei Calanchi dell’Abbadessa); in Toscana crete (Val D’Orcia e le Crete senesi); in Basilicata calangh (Riserva di Montalbano Jonico) e in Sicilia lavanchi o valanchi (di Monte San Nicola, di Caltagirone e i Calanchi del Cannizzola)”.



Il suolo argilloso ha creato i calanchi, ma si parla anche di biancane. Qual è la differenza?

“In Basilicata esiste il fenomeno delle biancane. Hanno un maggior contenuto di sale e di strati fossiliferi, il bianco che ricopre i rilievi anche qui. Le biancane sono di forma molto più arrotondata, come panettoni, perché il contenuto di sabbia è maggiore, la disgregazione è molto più accentuata e non c’è argilla che crea la struttura a guglia. La Riserva di Montalbano Jonico è nata dopo una visita qui in Abruzzo del sindaco dell’epoca. Chiese la nostra collaborazione e andammo in Basilicata per redigere il piano di assetto da cui è nata la loro riserva nel 2011. Nella riserva lucana ci sono vecchie mulattiere che i paesani percorrevano dal centro del paese per arrivare ai campi da coltivare. Sono chiamati appiett’ (a piedi) e passano tra i calanchi. Oggi sono i sentieri della Riserva: la discesa a valle attraverso la mulattiera appiett’ u Castiedd e la risalita per l'altra appiett’ u Mulin.”


(Biancane di Montalbano Jonico - foto Basilicata Adventure)


Nonostante l’aspetto inospitale, nella Riserva dei Calanchi di Atri vivono tante specie botaniche, ben adattate all’aridità del suolo: il cappero, il biancospino, il carciofo selvatico e la liquirizia, su cui si fonda da secoli l’industria più importante della zona. Sullo sfondo della Riserva, ci sono fazzoletti di terra coltivati in maniera tradizionale e nuovi vigneti per la produzione del vino dei Calanchi, ben protetti da recinzioni elettrificate per evitare i danni da fauna selvatica. Siamo nell'unica Riserva Naturale in Abruzzo che fornisca protezione ai coltivatori e allevatori, destinando il 5% dei fondi assegnati (50.000 euro circa) alla ricerca scientifica e il 5% per la gestione dei danni della fauna selvatica.


(Il logo della Riserva Naturale Regionale dei Calanchi)


Qui vivono l’istrice, il simbolo della riserva, la volpe, il tasso, la faina, il lupo, la donnola e la puzzola, oltre tredici specie di Chirotteri (i pipistrelli), gufi, barbagianni, allocchi, poiane e gheppi. Le farfalle diurne, Podalirio e Macaone, si incontrano in gran quantità camminando sul sentiero segnalato.


(Adriano De Ascentis, Direttore della Riserva Naturale Regionale dei Calanchi)


Nel sottosuolo del territorio atriano ci sono molte strutture sotterranee; cunicoli, vasche e fontane che avvalorano la tesi di un sistema idraulico a servizio della città, utile a frenare l’impeto delle acque, evitando l’erosione e la formazione dei calanchi, e a fornire l’approvvigionamento idrico alla città e la campagna circostante. Le Grotte, chiamate anche “li muri”, facevano parte di un unico sistema idrico di epoca pre-romana. Sono raggiungibili attraverso una ripida gradinata a circa 800 metri da porta Macelli. All’ingresso vi è una sala scavata nella roccia, collegata ad altre di uguale e minore ampiezza, intersecate da cunicoli stretti, sempre più bassi ed oscuri man mano che ci si allontana dalle aperture.

L’aspetto planimetrico delle Grotte è particolare. Un corpo di gallerie più ampio (quattro navate e tre gallerie) ed uno più ristretto (due gallerie principali e sette laterali, dette “le grotticelle”). Secondo una leggenda, le Grotte sarebbero l’estensione della mano di santa Reparata che, durante un terremoto, tenne fra le sue mani la Città di Atri impedendole di crollare.

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