18 MAGGIO 2023


PESCOCOSTANZO
SCRIGNO D'ARTE
E UN BOSCO
SECOLARE



testo e foto di
GABRIELLA DI LELLIO



(Pescocostanzo, il palazzo del Municipio)

Ai piedi della Majella, nell’altopiano del Quarto Grande, c’è il Bosco di Sant’Antonio, una delle più belle faggete d’Abruzzo. Si trova nei pressi di Pescocostanzo (AQ) e si raggiunge dalla stazione di Palena, oppure salendo da Cansano, tra la Valle Peligna e la Val di Sangro, percorse già in epoca preromana. La zona è quella degli Altipiani maggiori, un'area dell’appennino abruzzese meridionale di altipiani carsici tra il Parco Nazionale della Majella e il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (l’Altopiano delle Cinquemiglia, del Quarto Grande, di Quarto Santa Chiara e il Piano Aremogna) naturalmente legati a Roccaraso, Rivisondoli e Pescocostanzo. Sono facilmente raggiungibili attraverso la A25 Roma-Pescara, che si lascia al casello di Sulmona, oppure dalla A1 fino a Caianello, per chi viene da Napoli, o San Vittore per chi viene da Roma.



Il Bosco è una meraviglia della natura che ricade nel comune di Pescocostanzo, per un’estensione di 550 ettari, tra le dorsali del Monte Pizzalto e del Monte Rotella, dal 1986 Riserva Naturale. In età classica era considerato un lucus, una foresta sacra, dedicata a Giove, e nel corso dei secoli ha ospitato numerosi eremiti. Nel Medioevo la faggeta fu consacrata a Sant’Antonio da Padova e all’interno del bosco si trova una piccola chiesetta, di epoca medievale, dedicata all’omonimo santo: l’eremo di Sant’Antonio.



Questo bosco pluricentenario vegeta a una quota media di 1300 metri. Si presenta come una fustaia di faggio nel cuore di un enorme pianoro costellato di case e fattorie, in località “La Difesa”, che indica l’area forestale dove era impedito il taglio alberi e il pascolo degli ovini, simile ai pascoli alberati della penisola iberica (dehesas), la cui funzione era quella di dare ombra al bestiame dei pascoli circostanti. Grazie alla tecnica di potatura detta “capitozzatura”, gli alberi sono a forma di candelabro. Qui si trovano esemplari di faggio, appartenenti alla lista delle 800 piante censite nei 39 comuni del Parco Nazionale della Majella, che raggiungono anche sei metri di circonferenza.



Oltre al faggio crescono piante di acero, quercia, cerro e il raro pero cordato e tra gli arbusti il ribes uva-spina e il ribes multifloro. In primavera e in estate si può ammirare la fioritura della genziana, della peonia e della Epipactis purpurata (elleborina purpurea) una delle orchidee selvatiche più rare d’Italia; in autunno il foliage, per i colori caldi degli alberi e le sfumature delle foglie che iniziano a cadere.


(L'elleborina purpurea)


La Riserva è anche l’habitat di uccelli rari come il Picchio dorsobianco e il Picchio dalmatino, la Balia dal collare e, tra i rapaci, lo Sparviero e la Poiana. Non mancano il lupo, l’orso e il gatto selvatico. Dall’area pic-nic partono vari itinerari per escursionisti, tra cui il Sentiero Didattico n.10, un circuito ad anello adatto a tutti; giunge all’Eremo di Sant’Antonio, per poi risalire con lieve pendenza all’interno del bosco e tornare all’area pic-nic. È ben segnalato, di una lunghezza di poco più di due chilometri e un dislivello di poco più di 40 mt, classificato T (turistico) per famiglie e bambini.


(Pescocostanzo, strade lastricate in pietra)


A meno di nove chilometri dal Bosco di Sant’Antonio vale la pena fare una sosta a Pescocostanzo, uno dei borghi più belli d’Italia, a 1394 mt su un cocuzzolo del Monte Calvario. Un paese antico che offre un centro storico autentico e ottimamente conservato. Il toponimo Pescus Constantii compare per la prima volta nella seconda metà dell'XI secolo. Pesco, da osco pestlùm (latinizzato in pesculum, da cui la forma volgare Peschio) a indicare il basamento roccioso sul quale si è formato il centro abitato originario; del Costanzo che legò il suo nome a quello del masso, non si hanno notizie certe.


(Palazzo Fanzago e la fontana di piazza del Municipio)


Il paese è meta di turismo estivo e invernale, di arte e cultura, e il punto di forza dell’offerta turistica è l’artigianato locale. L’arte della tessitura (coperte, tappeti e arazzi), del ferro battuto, del merletto a tombolo (il cui museo si trova all’interno di Palazzo Fanzago in piazza del Municipio) e in particolare di quella orafa della filigrana. Questo particolare genere di lavorazione dell'oro e dell'argento si basa sull'intreccio e sulla saldatura di sottili fili di metallo ritorto, o lamine, sagomati o spiralizzati per formare arabeschi e disegni, in genere disposti simmetricamente. Discende presumibilmente dall'artigianato greco.


(Case con pianerottolo esterno e gradinata)


Oggetti tipici di questo artigianato sono la Presentosa, come fu battezzata da D’Annunzio, un medaglione a forma di stella, laminato e filogranato, con al centro due cuori simbolo di promessa d’amore, la Cannatora, una collana girocollo, e le "Cecquaje", orecchini e spille (di origine turca), lavorati a traforo (impreziositi a volte con pietre, cammei, corallo), riproducenti figure o amuleti di ispirazione apotropaica.



(La Presentosa - foto da YesAbruzzo)


Entrare a Pescocostanzo significa compiere una visita d'arte laica e religiosa. ungo i vicoli e le piazzette lastricate di pietra nobile si incontrano palazzi signorili (il Palazzo Comunale e Palazzo Grilli, Palazzo Mansi, Palazzo Fanzago, Palazzo del Governatore), fontane, chiese e monumenti rinascimentali e barocchi. Le case hanno gradinate e pianerottoli esterni, con porte e finestre decorate con pietra lavorata e le tipiche ringhiere a pancia in ferro battuto.


(Il portale della Basilica di santa Maria del Colle)


Da non perdere la Basilica di S. Maria del Colle, l'antica Collegiata, che sorge sul luogo in cui già dall' XI secolo esisteva un primo nucleo religioso. Fu riedificata nel 1466, con nuova configurazione a cinque navate, dopo il terremoto del 1456, e vi si accede da una scalinata del 1580 e dal portale tardo-romanico (1558). Le cinque navate sono coperte da soffitti a cassettoni di legno scolpito: quello centrale e i due intermedi sono stuccati in oro e incorniciano tele di pregio. Sulla stessa scalinata della Collegiata si affaccia un’altra chiesa degna di attenzione, Santa Maria del Suffragio dei Morti, con un portale seicentesco.



Altra zona di fascino è quella che parte dalla Chiesa di Gesù e Maria (1611) con l'annesso Convento dei francescani e il monastero delle Benedettine di Santa Scolastica (1624).

Tra i prodotti del paese il caciocavallo è sicuramente il più importante. Il caciocavallo degli Altipiani maggiori gode di premi e riconoscimenti importanti. Il motivo risiede nella generosità del territorio, capace di accogliere un gran numero di animali da pascolo in perfetto stato di salute, allevati con metodi tradizionali allo stato semi-brado. “Fare la fine del caciocavallo” è un’espressione popolare in uso fin dal Regno delle Due Sicilie. È chiaro il riferimento alla forma strozzata all’estremità superiore del formaggio e all’uso di appendere le forme fresche, legate a coppie, a cavallo di una trave, per farli essiccare.

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