ATHOS E OMINE
STORIE DI MONTAGNE
DI DONNE E DI DIVIETI

“Una legge proibisce formalmente di occuparci delle montagne: né salirci né parlarne e neppure guardarle, possibilmente. Possibilmente, così dice la parola del legislatore con una pretesa che egli stesso evidentemente giudicava eccessiva...”. Comincia così il breve racconto “Le montagne sono proibite” di Dino Buzzati (dal libro la “Paura alla Scala”, 1949), sconvolgente nella sua semplicità perché presenta una legge assurda che narra di un divieto. L’ingiunzione, formale, a non alzare lo sguardo verso le montagne. Poi diventa legge e le persone si conformano.
Esistono ancora oggi cinque vette nel mondo, dall’America, all’Asia, all’Oceania, che non si possono scalare, non per limiti fisici personali, ma per divieti imposti dai governi locali. Sono Shiprock Pinnacle nel New Mexico, Uluru in Australia, Kailash nel Tibet occidentale, Machapuchare nell’Annapurna e Gangkhar Puensum tra Bhutan e Cina).
Sul Monte Ōmine e sul Monte Athos, invece, il divieto si riferisce solo alle donne.
Il primo fa parte della lista scritta nel libro “Cento montagne famose del Giappone” dell’alpinista Kyūya Fukada (1964). Un elenco formulato in base alla bellezza e alla fama dei monti e che esclude tutte le vette al di sotto dei 1500 metri. Si tratta della catena montuosa di Kii – Yoshino, Ōmine, Kumano Sanzan e Koyasan - collegata da antichi percorsi di pellegrinaggio alle capitali di Nara e Kyoto. Questi siti riflettono la fusione dello shintoismo con il buddismo, introdotto dalla Cina attraverso la penisola coreana, e testimoniano una tradizione della presenza umana da oltre 1.200 anni. L'area è ricca di torrenti, fiumi e cascate, e fa parte della cultura religiosa del Giappone. È molto frequentata da persone che qui celebrano i propri rituali e da turisti, fino a 15 milioni di visitatori ogni anno.
Il monte Ōmine, all’interno del Parco Nazionale Yoshino-Kumano, ospita un monastero dell’VIII secolo, il quartier generale del buddhismo giapponese. Il tempio Ōminesan-ji, in cima al monte, è il luogo di pellegrinaggio e di addestramento per gli yamabushi (i monaci asceti giapponesi). Le montagne sacre hanno tradizioni diverse, come la segregazione dei sessi a seconda della stagione, consentendo alle donne di arrampicarsi in determinati momenti e agli uomini di arrampicarsi in altri. Il motivo del divieto di accesso alle donne deriva dal fatto di essere percepite impure (in particolare durante le mestruazioni o perché abbiano avuto di recente una morte nella loro famiglia) e che si imputa loro di distrarre i pellegrini nel cammino verso l'ascetismo e la meditazione profonda. Questo accadeva fino agli anni '70 per l'intero percorso di pellegrinaggio. Il divieto è stato contestato più volte ma senza successo, perché ci sono ancora aree che le donne non possono calpestare.
All'inizio del sentiero principale, infatti, un cancello di legno alto circa tre metri reca parole molto chiare: "Cancello oltre il quale non possono andare le donne" (女人結界門) e, come se non bastasse, un altro cartello alto circa due metri e largo uno reca la scritta in inglese e in giapponese: "Nessuna donna ammessa: il regolamento di questa montagna Ominesan proibisce a qualsiasi donna di andare oltre questa porta secondo la tradizione religiosa”. Questa è la ragione per cui la nomina dell'Unesco del Monte Ōmine come parte del Patrimonio dell'Umanità (2004) con il nome di “Siti sacri e vie di pellegrinaggio nella catena montuosa di Kii” è stata interpretata come l'approvazione internazionale del divieto, creando non poche polemiche.
Lo Stato monastico Autonomo del Monte Athos federato alla Grecia, sul terzo dito più orientale della penisola Calcidica, appartiene alla Comunità europea ed è accessibile solo via traghetto. Una striscia di Grecia lunga una cinquantina di chilometri, che gli antichi marinai italiani chiamavano Montesanto. La storia del Monte Athos ha avuto inizio nel 963 quando Sant’Atanasio istituì il monastero di Grande Lavra, ancora oggi il più importante. Oltre a 20 monasteri, esistono 12 piccole comunità minori e vari eremi. 1500 monaci che godono di uno statuto autonomo, garantito dall’articolo 105 della costituzione greca. La restrizione di accesso alle donne al Monte Athos è prevista in un decreto dell’imperatore di Bisanzio Costantino Monomachos, del 1046.
Per i laici è possibile visitare il Monte Athos una volta ottenuto un permesso speciale, il diamonitirion, rilasciato dall’ufficio Pellegrini a Salonicco (c’è un numero fisso ogni giorno per gli ortodossi e uno per i non-ortodossi; non è consentito alle donne).
Solo la comunità monastica, che oggi conta poco più di un migliaio religiosi, può stabilirsi nella penisola. Un luogo tanto sconosciuto quanto vicino a noi.
La proverbiale ospitalità dei monaci da oltre mille anni mantiene un tabù femminile simile a quello giapponese, divieto applicato anche agli animali. Solo i gatti possono entrare, altrimenti la penisola sarebbe infestata dai topi.
Una leggenda sulla vita della Vergine Maria, molto diffusa nella tradizione ortodossa, racconta che un giorno fu invitata da Lazzaro a Cipro. Mentre era in viaggio per raggiungere l’isola, però, la nave sbagliò rotta e approdò per caso – per provvidenza divina – sulla penisola dove si trova il Monte Athos. Lì incontrò alcuni fedeli di un tempio pagano che, riconoscendo in lei la madre di Dio, si convertirono al cristianesimo. Così la Vergine Maria si affezionò all’isola e pregò suo figlio affinché diventasse un luogo di sua proprietà. Da allora il Monte Athos le venne dedicato e la Vergine rimase l’unica donna che abbia mai camminato su quelle spiagge.
Vetta, cima, cordata o guida alpina c’è tanta donna nelle parole chiave della montagna, eppure è stata a lungo il terreno prediletto degli uomini. Che vivano sul Kilimanjaro, sull'Himalaya o sulle Ande, le donne delle comunità di montagna si sono sempre occupate delle loro famiglie, del lavoro nei campi, di proteggere le loro terre, la biodiversità e anche di conservare e tramandare le conoscenze e le tradizioni locali. "Dove restano loro, la montagna non muore" (La rete di donne delle montagne fondata nel 2002 da Michela Zucca, rappresentante delle Alpi nel convegno mondiale delle donne di montagna).
Dal 2003, l'11 dicembre, si osserva la Giornata Internazionale della Montagna. Quest’anno, dichiarato dalle Nazioni Unite l’Anno Internazionale dello Sviluppo Sostenibile delle Montagne, la Giornata è stata dedicata alle donne che muovono le montagne, celebrandole come eroine quotidiane dello sviluppo sostenibile. Uno studio recente, "Mountain women of the world: challenges, resilience and collective power", pubblicato dalla FAO - l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’Agricoltura - ha presentato i risultati di un'indagine condotta in 8 paesi su 304 donne, raccontando le discriminazioni e le pressioni esterne cui sono state soggette negli ultimi anni. La discriminazione di genere persiste dal mondo antico ai secoli a venire, ma la montagna è donna. È ora di ammetterlo.
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